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Russia, dal comunismo alla sperequazione sociale.

Creato il 10 ottobre 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online
Russia

Photo credit: archer10 (Dennis) / Foter / CC BY-SA

L’eguaglianza che il comunismo predicava di aver raggiunta in Russia ha totalmente perso di significato a poco più di vent’anni dal collasso dell’URSS. Lo dice un rapporto di Credit Suisse, che denuncia una situazione allarmante: il 35% della ricchezza dell’intero paese è in mano a 110 individui, miliardari individuati da Forbes. Questo configura una sperequazione sociale tra le più alte del mondo, poiché i russi sono 143 milioni, e supera perfino quella della patria del capitalismo, gli Stati Uniti, in cui, a fronte di una popolazione di poco inferiore al doppio di quella della Russia, esistono 442 miliardari.

Lo studio di Credit Suisse ha mostrato anche una diminuzione della ricchezza media russa dal 2007. In quell’anno, l’adulto medio aveva intorno ai 14.000$, e un dollaro valeva 25 rubli. Ora la ricchezza pro capite si aggira intorno agli 11.900$, e un dollaro vale 32 rubli. La ricchezza media, individua il rapporto, “non mostra alcun segnale di crescita” già da prima della crisi economica del 2008, che non può dunque essere usata come scusa.

Ben il 93% della popolazione russa ha meno di 10.000$, e soltanto lo 0.1% supera il milione. Una situazione destinata a tutti gli effetti a peggiorare, come dichiarato da uno degli autori dello studio, per via dei “contatti politici” (“political ties”, nel testo originale) necessari a mantenerla, che si autoalimentano, e sono elusivi rispetto all’osservazione esterna: mancano, per esempio, tutta una serie di informazioni sul valore degli immobili posseduti.

Questo rapporto di Credit Suisse non giunge certo come una sorpresa in quello che è certamente uno degli Stati più tumultuosi dal punto di vista delle sue evoluzioni politiche. Già il coefficiente Gini, utilizzato molto di frequente per misurare la sperequazione sociale di una comunità, aveva posto la Russia all’83esimo posto, a 42.3, un valore piuttosto alto (in Italia è fermo a 31.9, mentre la media Europea è di 30.4). Si tratta in definitiva di una situazione figlia di degenerazioni che avevano sicuramente già preso piede durante il periodo sovietico, ma che non sono state corrette in alcun modo, e sono anzi peggiorate, in questi ultimi vent’anni.


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