Era un mago. Fermava il tempo. Sul serio, senza trucchi e senza inganni. Come palcoscenico i vagoni della metropolitana. In una mano una sveglia elettronica legata al collo e nell’altra un bicchiere Mc Donald’s supersize per le offerte. La sveglia segnava una data e quella data era sbagliata. Andava quattro anni, centoottantadue giorni, sedici ore, cinquantasette minuti e quattordici secondi in avanti. Ma da quando era stata prodotta dalle mani di un bambino taiwanese non aveva perso un solo colpo. Era lì la magia, continuare a girare quando tutto intorno al mago si fermava. Come il suo orologio biologico.
Il mago mentre alleggeriva le tasche dei passeggeri immobili e ignari della metropolitana a volte ci pensava. Se non avesse mai più schiacciato il tasto play, che fine avrebbe fatto il mondo? Lui avrebbe vissuto i suoi anni, c’era abbastanza cibo congelato da sottrarre al morso dei suoi simili. E c’era abbastanza carne femminile da soddisfare i suoi appetiti più bassi. Poi sarebbe morto, nel silenzio del mondo. E il mondo con lui, come una fotografia sbiadita di tanti anni fa. O forse avrebbe ripreso a girare sulla colonna sonora dei rintocchi a morto della sua sveglia elettronica. Quella sveglia che ora cambiava i secondi in minuti, mentre la metropolitana e i suoi passeggeri sognavano a occhi aperti.
Sebbene non ci fosse trucco e non ci fosse inganno, il mago non avrebbe potuto ingannare se stesso a lungo. Avrebbe preferito poter sistemare le cose del suo passato sin dal tempo della flagellazione di Cristo e anticipare gli andamenti della borsa da qui al tempo del fallimento della Nike, piuttosto che fare del mondo una bistecca di maiale congelata. Ritorno al futuro sarebbe stata un’ottima alternativa. Avrebbe scudisciato quella metropolitana come in Ben Hur e trasformato i passeggeri in spettatori-attori di una Odissea nello spazio tra Monty Python e Mel Brooks in cui lui, in cima al pendolo del mondo come King Kong, avrebbe baciato la bella capelli al vento di turno.
E il suo turno arrivò mentre, come il peggiore dei nipoti, sfilava un biglietto da cento dalla borsa di una vecchia dai capelli argentati (era giorno di pensioni). Doveva essere la nipote di quell’anziana signora, bastò l’idea per spingerlo a restituirle il biglietto da cento. Ne incrociò l’espressione e lei aveva discosto timida lo sguardo anche se non poteva saperlo. Lui colto dal proprio stesso potere rimase immobile, incapace di sbiascicare una sola sillaba e di credere ai propri occhi. Ai suoi occhi infatti lei era come colta da un irrimediabile colpo di fulmine, che le aveva azzerato la salivazione e sottratto il respiro. Ma ancora una volta lei non poteva saperlo. Il mago, da parte sua, sapeva che l’unica cosa che avrebbe desiderato da lì al fallimento in borsa della Nike era che quel momento durasse in eterno. Ma per vivere i suoi giorni con la bella capelli al vento il mago avrebbe rinunciato al suo potere e anzi già malediceva quel potere che aveva sottratto in anticipo al suo amore quattro anni, centoottantadue giorni, sedici ore, cinquantotto minuti e trentasette secondi.
Per la prima volta si sentì un supereroe (l’amore porta con sé euforia). Avrebbe celato il suo potere per un bene superiore (rinunce). Sarebbe rimasto in silenzio (tradimenti). Da solo nonostante il matrimonio (depressione). Forse sarebbe stato meglio lasciare le cose congelate (tentazioni). O lasciarle scorrere senza risposte (e paure). “Cara, vado a lavoro”. Cosa le avrebbe raccontato? “Caro, ti trascuri troppo, guardati, dimostri dieci anni di più”. Il lavoro stanca. “Guarda, sono la fotocopia del padre”. Oltre alle gambe secche, cosa avrebbero ereditato i figli? “Papà, giochiamo a Un, due e tre. Stella?”.
Di Mauro De Clemente
Tratto da Erano – 26 racconti per gente che fù
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