Ogni giorno che s’apre, sabah an-nur, mattina di luce per te che vai, che mi incontri, per la vita che ci mette assieme.
In questo mare di pietre, ulivi, mandorli, pistacchi, viti in terra rossa e rada, pecore, galline, pastori, tombaroli, venditori di cartoline, l’orizzonte sono le montagne del Libano e il deserto.
Stiamo andando ad una città morta, sbagliamo strada, ci perdiamo, non c’è fretta. Capisco perché qui sono passati e si sono fermati uomini e civiltà che hanno lasciato tracce indelebili per noi umani dalla memoria cortissima. I regimi, gli invasori sono cose che passano, città, potenti, cose che sembrano immortali passano e i pastori lo sanno. Il loro concetto di mondo e’ così diverso, guardano la tv, usano il cellulare ma alla fine il loro mondo e’ questo, il resto e’ notizia, meraviglia.
Non preoccupatevi, ripete la guida che è un mullah. Non preoccupatevi per i disordini, non preoccupatevi per il tempo, non preoccupatevi e basta. State sereni, godete di ciò che vi attornia.
InshAllah. Anche per chi non crede la parola è piena di significato, possiamo sperare, fare quello che ci è possibile, il resto verrà.
La città più vicina è Hama, non è un caso che ci pensi. Qui ci sono stati i bombardamenti del padre dell’attuale Presidente contro i Fratelli musulmani, nel 1982. 5-6000 morti, gran parte civili dicono le fonti governative, decine di migliaia, dicono gli altri. Le famiglie, le persone ricordano la guerra, ne hanno esperienza diretta. In qualsiasi momento possono essere mandati a combattere. Basta scegliere il nemico. Il Golan ancora brucia, c’è solo un armistizio ed un lavoro diplomatico che non si conclude. Anche con la Turchia, per Antiochia, c’è un lavoro diplomatico, ma più stanco. Forse il comune problema Curdo, tiene bassi i toni e non ostili, nella sostanza, governi. Tenere aperto un fronte giova, giustifica. Due ancor di più, ma non impedisce di vivere come se si fosse in pace. Un po’ più controllati, un po’ più precari, ma questa è solo la mia sensazione di occidentale. InshAllah.
Ci sono 150 città morte qui attorno, tutte bizantine, quasi tutte fuori delle rotte delle carovane che percorrevano la via della seta. La guida usa parole di velluto quando parla delle carovane e nella testa si materializzano file, anche di 1000 cammelli, che trasportano tonnellate di merce e meraviglie. Una nave che superava tempeste, pirati, epidemie, tempo ed arrivava, sciorinava la mercanzia, vendeva, ricomprava, ripartiva. Intanto i racconti si intrecciavano, si consumavano amplessi rituali nei templi, oppure se il cristianesimo era arrivato, fuori dai templi. Nei caravanserragli, nelle città, uomini si incontravano con rituali scanditi da secoli. L’offerta era importante come la modalità dell’accettazione. Emergevano testi miniati, racconti di miracoli che meritavano una deviazione, una visita. Lingue ed alfabeti si mescolavano, i segni tracciati acquisivano significati nuovi. Si percepisce che qui la scrittura e l’alfabeto sono nati come conseguenza, servivano, ed hanno mutato la testa degli uomini, il rapporto tra cultura autoctona e cultura contaminante, sino a definirsi universali. Universale era chi voleva conquistare il mondo conosciuto e per farlo usava eserciti e scambi senza distinzione di gradualità.
Sargilla appare di colpo, pietre squadrate, ordinate. Gli edifici pur toccati dai terremoti della faglia sottostante, sono in larga parte visibili. Le chiese, i pavimenti musivi, la furia degli iconoclasti, il senso dei percorsi di una vita quotidiana. Il forno, i negozi, le case, gli artigiani, tutto in funzione della vita e di qualche reliquia che aveva portato in questi luoghi famiglie, viandanti, aspiranti alla santità. Ma anche giocolieri, incantatori di uomini, profittatori. Spinti dalle persecuzioni, dalla miseria, dalla caccia all’uomo oppure dalla curiosità, dalla fede. Non si conosce il nome del santo che viveva nella caverna sotto l’imponente basilica, certo che il suo nome e le sue opere passavano di bocca in bocca ed attiravano. Prima i discepoli, poi i preti e le genti. Un posto come un’altro dove vivere mentre appena oltre le colline c’era l’inferno. Un posto che il santo e i nuovi santi, che certo si sarebbero manifestati, avrebbero protetto, reso invulnerabile dalla corrente della storia che percorreva la riva del mare.
Perché decaddero le città morte? Perché i santi cambiavano, per la stanchezza di vivere maturata ben presto, perché erano impermeabili al nuovo. Bastarono due secoli per fermare lo sviluppo ed iniziare un declino rapidissimo. Ma decadeva il mondo in cui erano nate, gli dei che erano coesistiti fino a quel momento, si erano spaventosamente assottigliati a tre religioni: la cristiana, il nascente islam, l’ebrea. Ci si era fermati abbastanza, si poteva ripartire. E poco a poco gli abitanti sciamavano con una emorragia continua che toglieva senso ai luoghi. Chissà chi fu l’ultimo ad andarsene e cosa pensava del suo mondo. Perché non c’è dubbio, che quello era il suo mondo, l’altro, con una velocità sconosciuta percorreva il mediterraneo e i deserti, ma già dimenticava i santi stiliti, gli eremiti, gli asceti che flagellavano il corpo per un rapporto personale con dio. Si era transitati nel tempo del plurale, nel predominio della massa, anche nel religioso.
Le pietre, gli edifici furono occupati dai pastori, segnati dal fico, dalla vite e dal pistacchio, sui mosaici camminavano e dormivano le pecore. E la sabbia del deserto, che misericordiosa, lucida e ricopre, salvò molto.
Pietre e vite d’uomini, in un coacervo di dialetti del vivere. Quanti linguaggi sociali parliamo oggi, e quanti se ne parlavano allora? Quante etiche abbiano davvero indisponibili? Maometto era figlio di un commerciante, e il commercio rigava il pianeta conosciuto. Nelle città, dotti e teologi, disputavano. Spesso non disputavano nel piatto in cui mangiavano. Cosa sarebbe l’occidente senza almeno il ricordo che il dna comune è in questa mescolanza di tracce, che le religioni sono state sostanza e veicolo, ma dentro le culture, e che gli uomini, sono stati il prodotto di certezze che mutavano.
Il giorno continua, la vita continua.
Sia una sera di luce per te.
masa’ an-nur