Sono mille le ragioni per scendere in piazza, di questi tempi, e forse qualcuno potrà obiettare che il riconoscimento della professione di archeologo non è al momento prioritaria, ma sbaglia di grosso. Siamo giunti a questo punto anche perché il Paese non ha saputo riconoscere a molti mestieri la dignità che meritano e dare loro regole chiare. Perché non ha saputo guardare lontano e stare al passo con un mondo che cambia, arroccandosi al contrario nella difesa di regole e privilegi anacronistici e utili solo a chi ce li ha. Disoccupazione e precariato si combattono solo riconoscendo che il mondo del lavoro non è più, oggi, quello di una volta. E nel nostro settore, i beni culturali, hanno oramai fatto il loro tempo sia la ricerca pura, fine a se stessa, sia il volontariato imperante che, seppure benemerito e indispensabile, ha per troppo tempo alimentato l’illusione che in certi campi si possa fare a meno della professionalità. Se ne è accorto persino il direttore del Sole 24 ore, Roberto Napoletano, che scrive così nell’ultimo Domenicale: “non abbiamo scelto come Paese di investire (davvero) sul capitale più importante che abbiamo e continuiamo spesso, troppo spesso, a fare volontariato culturale. Non possiamo più permettercelo“. Sicuramente lui ha un’idea diversa dalla nostra di cosa significhi “investire in cultura”, e sa solo vagamente quali siano le prerogative dell’archeologo d’oggi e quanto egli sia indispensabile alla società, però ha l’orecchio disposto ad ascoltare. La manifestazione indetta per sabato prossimo dall’Associazione nazionale archeologi serve a raccontare a lui, e al Paese intero, la vera storia. Riempiamo piazza del Pantheon!
Effe