Il meeting di Rimini, l’appuntamento annuale di Cl, è ormai una specie di fiera campionaria della nullità italiana, un bazar dove si vendono battitappeti e sospetti miracoli, conti correnti e acquasanta in bottiglia, castità ed evidenti afrori giovanili. I valori devoti servono agli affari e gli affari moltiplicano i gadget della devozione più corriva, per rialimentare il circolo vizioso degli alibi morali di cui si ciba la pubblica immoralità.
Eppure dentro questo kapali karsi della decadenza civile italiana, si sono visti in questi giorni personaggi improbabili dal Presidente Napolitano a impavidi nuclearisti, dal gatto e la volpe della Fiat, Marchionne e Montezemolo che si tirano la volata a vicenda, ai fautori della svendita di beni pubblici che peraltro sta per essere attutata alla faccia dei referendum. Da banchieri illustri come Corrado Passera a Enrico Letta, dai numeri uno di Enel e Finmeccanica ai fautori della sussidiarietà, che nasconde grandi affari e che ormai ha preso il posto della solidarietà. In compagnia dell’immancabile Bonanni. Oltre a ospiti defilati, ma molto concreti: la compagnia delle opere e tutte le altre organizzazioni da soldi del mondo cattolico che come sappiamo godono di uno status privilegiato.
Ovvio che dentro quel mercatone si sta praticando l’inciucio per il dopo Berlusconi, qualcosa di più che la creazione di un terzo polo che possa evitare la iattura di un possibile governo di centro di sinistra, anche se è sempre più evidente che quel sinistra sta lì più per bellezza che per altro: di passare in un bel pediluvio di acqua di Lourdes il berlusconismo per farlo rinascere a nuova vita. Insomma la creazione di una Sacra Forza Italia che si ispiri ai dogmi del liberismo e alle esigenze materiali del Vaticano dentro un nuovo sincretismo tutto laissez faire e chiesa.
I personaggi, i temi, gli slogan che corrono sottopelle in assenza di pensiero sociale, non lasciano dubbi: si va dalla commistione fra stato e affari, al disamore per i diritti, dalle improrogabili esigenze dei bassi salari, alla svendita di ogni tipo di beni pubblici per essere dati in pasto ai pescicani delle cricche, all’economia che invece della concorrenza conosce il cartello e l’indolenza. Insomma tutta la classe dirigente del declino è lì per studiare i modi di salvare se stessa, buttando a mare il suo benefattore, l’Italia dei conflitti di interesse, delle indulgenze, degli sprechi ad personam, delle esenzioni, l’Italia dei condoni e dei 160 milioni concessi al condannato Brancher, l’Italia dei fondi neri e delle conventicole, degli appartamenti pagati a propria insaputa, delle tangenti, dell’evasione e della corruzione.
Si è tutta lì questa Italia immorale e perdente, tutta presente al mercato che cerca di farsi benedire per l’ultimo banchetto. Così il titolo retorico e astruso del meeting acquista una straordinaria quanto ambigua concretezza: “E l’esistenza diventa una immensa certezza”. Si, ci provano. E non è detto che non ci riescano in un Paese incazzato, ma non lucido. Dopotutto la cultura non è acqua santa.