Alle origini del capitalismo moderno, diversi furono i pensatori che tentarono di spiegarne le origini. Tra questi Weber, nelle sue diverse produzioni, ne diede una chiave di lettura che partiva dal capitalismo antico.
Egli riconosceva il carattere del capitalismo moderno nel razionalismo economico, concepito come l’aspetto economico di un più generale processo di razionalizzazione, che comportava l’organizzazione razionale dell’impresa, la tendenza razionale al profitto sulla base del calcolo del capitale, la redazione di bilanci preventivi e consuntivi, la separazione tra impresa e amministrazione domestica, l’impiego del lavoro formalmente libero, l’esistenza di un libero mercato.
A questi aspetti Weber affiancava un ulteriore elemento sovrastrutturale, definito “lo spirito del capitalismo”, riconducibile ad una specifica mentalità economica che affondava le sue radici nel terreno della religione. La sua analisi partiva dall’assunto che il più avanzato grado di sviluppo economico, dell’epoca, era collegato alle confessioni riformate. In particolare, analizzò il rapporto tra mentalità capitalista e l’etica economica del protestantesimo, il riferimento era al calvinismo.
Il credente trovava nel successo economico il mezzo per raggiungere la sua salvezza. L’insuccesso economico, al contrario, era il riscontro della sua dannazione. Ciò secondo la volontà divina.
Se la religione segnava lo scopo dell’uomo nel mondo e se quest’ultimo è compimento ed espressione della volontà divina, allora il risultato professionale ed economico raggiunto ne era il metro di valutazione. E’ così che l’attività professionale diventa vocazione e condotta di vita. Da questa assunzione, secondo Weber, nasce il capitalismo moderno.
Questa impostazione distingueva l’approccio di analisi tra Marx e Weber. Se il primo si concentrava sulla identificazione delle istituzioni o delle strutture del sistema capitalistico, Weber si concentrava sulla definizione di quale genere di uomo fosse legato al sistema.
Partendo dall’uomo, egli individuava una sorta di identità tra professione di fede e professione lavorativa, attraverso l’osservazione della società protestante e il suo accumulo di ricchezza, riscontrato dal cinquecento in poi.
In sintesi, il protestante viveva il successo prfessionale come sorta di gradimento che Dio gli riconosceva e lo traduceva in indicatore di salvezza divina.
Tuttavia, già all’epoca, si evidenziava come il continuo accumulo di ricchezze diventava a lungo andare fine a se stesso e non più funzionale alla religione. Nell’opera Sociologia delle religioni, Weber propone un elenco di conquiste dell’Occidente e si chiede quante di esse siano effettivamente universali, quindi degne di essere esportate, poiché superiori (tra queste ci si riferisce anche al capitalismo).
Una sua altra implicazione, successiva, è legata al concetto di “frammentazione valoriale”, che riconduce la società moderna ad una sorta di “politeismo dei valori”. L’affermazione del valore della religione, conduce ad una vita religiosa, mentre l’affermazione del valore della scienza, conduce ad una vita dedicata alla ricerca. La denuncia è che tra questi valori non esiste contatto, ne dialogo, anzi si riscontra conflittualità e incompatibilità. Weber accetta e si rassegna a tale frammentazione valoriale che traduce nel concetto di “individualismo eroico”.
C’è da precisare che le opere di Weber non affrontano il problema del primato tra i valori spirituali e quelli materiali, poiché rifiuta ogni spiegazione onnicompensiva dei fenomeni sociali. Dalla sua ricerca egli trae la conclusione che tra la mentalità economica razionale del capitalismo e l’etica economica del protestantesimo ascetico vi sia un forte collegamento. Alla stessa conclusione giungeva anche per via negativa, mostrando come in nessun’altra civiltà, che non fosse l’Occidente moderno, si sia verificata una correlazione come quella che si è stabilita tra etica protestante e mentalità capitalistica.
L’attuale crisi del sistema capitalistico, afferma l’attualità dell’approccio metodologico weberiano, che parte dall’uomo e dalla “mentalità economica” dell’uomo, come fattore originario chiave per la spiegazione del sistema economico, con implicazioni di carattere confessionale.
Se l’economia è uno strumento, da cui ogni uomo trae delle proprie e personali risorse di autorealizzazione e sopravvivenza, allora il sistema economico non può che non essere, a sua volta, uno strumento delle società, che ne permetta una realizzazione collettiva.
Il capitalismo moderno ha visto affiancare la logica dell’accumulo di capitale, al consumismo, che ne è il contraltare, poiché il capitalismo si nutre di crescita e la crescita impone il continuo trasferimento di risorse da un soggetto all’altro.
Così inteso, il benessere non è più declinabile sotto forma di “accumulo”, ma di “potenziale di spesa”. Il sistema economico non è più un mezzo a disposizione dell’uomo per realizzare i propri obiettivi di vita. Poiché per la loro realizzazione, vi è una condizione necessaria che deve essere soddisfatta in precedenza, l’essere consumatori.
La definizione di un nuovo sistema economico, quindi, non può non passare per una rifedifinizione del valore dell’esistenza dell’uomo. Solo attraverso la declinazione di questo ruolo, nell’insieme del sistema degli esseri viventi della terra, o dell’universo, si possono definire nuovi obbiettivi di vita e quindi nuove forme strumentali di utilizzo dell’economia, cioè nuovi comportamenti economici.
Purtroppo, i fondamenti religiosi (le religioni), non sono più praticabili per la definizione di tale evoluzione. Sono troppe profonde e marcate, infatti, le differenze di credo e confessione, affinchè esse possano essere un impulso efficace. A meno che non si decida di spostare la centralità della spiritualità dalle singole confessioni alla dialogo ecumenico, che diventerebbe fondamento della civiltà in divenire.
In alternativa, non rimane che l’affermazione di una visione laica dell’uomo e dell’organizzazione sociale, a patto che lo spirito laico sposti la sua attenzione dall’evoluzione del comportamento morale, all’affermazione del piano dell’etica. In ogni caso, ciò non può non passare per la definizione di un nuovo ruolo di centralità dell’”uomo”, inteso come umanità e non come individuo.
Facendo alcuni esempi, si potrebbe affermare che se l’umanità ha come scopo primario la sopravvivenza della specie, allora si rende necessario intraprendere delle azioni per cui l’obiettivo sia la procreazione e la conservazione dell’ambiente, in cui i posteri potranno crescere e vivere. Se lo scopo è la tutela del creato, allora egli dovrà condurre uno stile di vita conservativo per garantire la propria specie e per l’intero ecosistema. Continuando, se l’obiettivo primario è la comprensione dell’universo attraverso la scienza, allora, in nome di essa, ogni pratica sarà rivolta all’evoluzione del sapere che diventa priorità di comportamento. Concludendo, se l’obiettivo primario è la “salvezza divina” o la “vita eterna”, allora, ogni pratica sarà determinata da una specifica confessione.
Lungi dal voler risolvere una questione che non può essere definita, se non attraverso processi collettivi di dialogo e di confronto, chi scrive ritiene che se un minimo di fondamento e di attualità c’è nel pensiero di Max Weber, allora è altrettanto vero che “la salvezza divina” dei primi “capitalisti” debba essere nuovamente declinata, a prescindere dal fatto che essa lo sia in chiave “sacra” o “laica”.
Così come è necessario ricondurre l’economia all’unico ruolo che essa può avere nelle società, cioè quella di mezzo, per il raggiungimento di uno “scopo di vita” e non di obiettivo, su cui costruire gli altri sistemi, quello sociale e valoriale.