Seduto sul letto disfatto sta un fantoccio senza vita, l’anima risucchiata qual polpa umida di lumaca.
S’articolano a sillabe le sue parole, prosciugato il respiro; neppure un grammo d’infuocata fiele gli è stato risparmiato.
Lo sguardo vacuo nel vuoto intorno a sé riconosce le mute pareti disfatte in nera pece d’esistenza.
L’aria è immota.
Da quanto tempo è fermo?
Cucite sul dorso, sui palmi, sui piedi, la schiena, in uno stanco rapido conto, ritrova ami di ferro e fili, fili ovunque. Fili che muovono, comandano, girano, voltano la sua esistenza. E’ di grigia indifferenza il ghigno del mondo che lo circonda, un buio baratro di convulse parole, su podi sempre più elevati e spinti. Il collo duole, una tensione schiacciante tende gli arti, compressa la mente in una morsa d’obbligo e futuro.
Da quanto tempo è fermo?
La coda gli è nata, di pezza, si sente tirare e ancora una volta quei fili comandano e la giostra gira e appeso a capo in giù la coda viene portata a scherno di chi corre e grida e ride e tenta di prenderla, la coda, e vincere il giro. “Giù il gettone!”, “La prendo io!”. La testa duole, la giostra gira, la coda duole, la giostra gira, qualcuno tira il filo, un po’ su, un po’ giù, un po’ su e un po’ giù. Tutti ridono, sono allegri, gridano, tutto gira. Qualcuno, più forte, controlla il filo.
Da quanto tempo è fermo?
La testa china, il dovere apparecchiato sul desco del quotidiano, il saper dire, il saper fare, il lasciarsi fare, il non essere, il credere d’essere. La pelle s’abitua a non sentire dolore, il cuore assimila il piacere con il dovere e cammina, senza più vedere il risplendere del sole: il buio appesta la stanza, un buio fitto, continuo, senza pace ove pace si crede che sia.
Da quanto tempo è fermo?
Se si strappa l’amo, i fili, la pelle sanguinerà, la pelle brucerà, il dolore sarà forte, ma sarà più forte la liberazione. Non si muore se si corre; se si corre non si scappa ma si torna a vivere. Si riapre il cielo, le persiane chiuse mozzano il fiato e la speranza.
L’immagino ora, seduta da qui, la forbice che taglia i fili, uno ad uno, più lento il processo, più forte la consapevolezza, più libero e vero il futuro. L’immagino ora il vento che rianima il respiro, i polmoni aperti d’aria nuova che buca: quanto dolore a ritrovare se stessi?
Ora, finalmente, chi vedi allo specchio sei tu.
Chiara