Bruno Zevi è stato un intellettuale di levatura straordinaria. Romano, laureato in architettura ad Harvard, alla scuola di Walter Gropius, in seguito ordinario di Storia dell’architettura e direttore dell’Istituto di Critica Operativa dell’Architettura dell’Università di Roma.
Ma non è in virtù della sua, pur luminosa, carriera accademica, che voglio invitare alla lettura, o alla riscoperta, per chi già avesse la fortuna di conoscerla, dell’opera di Zevi, e in particolare di Saper vedere l’architettura. Il mio invito è formulato, invece, in virtù della capacità divulgativa che Zevi ha dimostrato nei suoi numerosi scritti; quella capacità di far comprendere concetti anche molto complessi con poche parole, dirette al cuore del problema.
Saper vedere l’architettura, pubblicato per la prima volta da Einaudi nel lontano 1948 e poi passato attraverso molte edizioni, ha un sottotitolo in cui sta racchiusa già l’essenza del contributo: Saggio sull’interpretazione spaziale dell’architettura. È proprio di questo che parla Zevi: della capacità, che è anche una necessità, di guardare all’architettura considerando il suo protagonista, lo spazio. Da esso prende avvio un viaggio straordinario attraverso le “età dello spazio”, dalla Grecia classica, a Roma, e poi via via fino all’età moderna, con le sue contraddizioni e deflagrazioni.
Ma così sarebbe forse ancora troppo poco, per il genio di Zevi, e dunque il volume è completato da un’arguta rassegna di interpretazioni dell’architettura, oltre che da un capitoletto conclusivo intitolato Per una storia moderna dell’architettura. L’esortazione, condotta in punta di penna, è quella a una storia dell’architettura che riprenda in mano, una buona volta, passione e coraggio.
Da recuperare.
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