Il bello di vivere in una città come Cracovia, oltre - come da stereotipo – alle belle ragazze, è che le organizzazioni dei concerti sono impeccabili. Almeno tre bei nomi al mese (se non è qua è a Katowice, che sta a un tiro di schioppo) e soprattutto tanto tanto amore e passione per il metallo. I fan sono eccezionali e le location sono accuratamente selezionate. Non sono ancora stato ad un concerto dove l’acustica fosse cattiva. Certo, faccio un’eccezione per i Grave, ma quello era dovuto a un cretino incompetente dietro il mixer. Non mi stupisce quindi che gli onnipotenti Dei del Doom, ovvero i Saint Vitus, abbiano scelto la città dei Re del Wawel come unica data in terra polacca.
Arrivo puntualissimo all’apertura delle porte. Oggi organizzazione svizzera per una serata che aspettavo da quando la data era stata annunciata, ovvero febbraio/marzo. Appena entrato, noto subito il banchetto del merchandising, mancano i St. Vitus e sono per ora presenti le altre due band, i polacchi Belzebong e gli Orange Goblin. Curiosando dalla parte degli Orange Goblin, non posso fare a meno di notare che le t-shirt per donna sono presenti solo in misura XL o XXL. Che ai nostri eroi piacciano le strappone over-oversize?
I Belzebong, ottima band sballona di Kielce dai pezzi ultra cadenzati e strumentali, iniziano proiettando, in contemporanea alla loro esibizione, immagini di folletti dalle orecchie a punta che sbongano in circolo ridendo, passando poi alle donnine nude e altre robe così. Molto fighi devo dire. C’è un misto di nebbia artificiale e nebbia di cannoni. Fa piacere notare che, in barba alle severissime leggi polacche sul possesso, alcuni se ne sbattono allegramente e danno fuoco alle loro miccie. Stessa cosa nei cessi. E sembra pure roba buona. Il che è assai inusuale qua. In una data dell’anno scorso a Los Angeles i Vitus si passavano le torce con la folla, anche se dubito che qua sarà così. Stiamo sul versante Sleep e compagnia. Una roba piuttosto malsana che trasmette sensazioni di spossatezza miste ad alterazioni psico-fisiche di vario tipo. Promossi.
Salgono sul palco gli Orange Goblin. Devo ammettere la mia quasi totale ignoranza riguardo alla discografia della band londinese. Suonano un bel doom/stoner sul sabbathiano andante e il gigantesco Ben Ward regge benissimo il palco con la sua voce roca e potente. Un minuto prima stava al banchetto del merchandising a vendere t-shirt e dischi e anche con la sala piena e rumori di ogni sorta lo si sentiva parlare da lontano, con quel vocione davvero imponente. I pezzi dell’ultimo Back from the Abyss, giustamente proposti dal vivo in questa tournée, sono fighi e coinvolgenti. Si scapoccia e si spippacchia, si spippacchia e si scapoccia, come è giusto che sia. Però il pensiero va sempre a loro e a quel momento che sia avvicina sempre di più. Il momento in cui David Chandler & co. saliranno su quello strafottutissimo palco. Da fan sfegatato riesco a malapena a trattenere l’emozione. Ovviamente vado a prendere l’ultima birra prima dell’inizio dell’esibizione, che voglio godere dalla transenna cantando a squarciagola dal primo all’ultimo pezzo.
Non è una serata qualsiasi. Stasera verrà riproposto per intero l’incommensurabile Born Too Late, inno di sofferenza e miserie umane. La scaletta inizia con due pezzi da V: Living Backwards e I Bleed Black. War is our Destiny è sempre come la ricordavo. Apocalittica. Tecnicamente sarebbe un pezzo del grande Scott Reagers, perfetta per l’intensità drammatica del suo stile, ma Wino la esegue alla grande.
Seguono due escursioni nella loro ultima fatica discografica, ovvero la cupissima Blessed Night (sicuramente uno dei capitoli migliori di Lillie: F-65) e Let Them Fall, che Wino dedica a tutti quelli che gli vogliono male, invitando il pubblico a fare lo stesso. Poi White Stallions e The Troll, unico estratto da Mournful Cries. David Chandler è schizzatissimo e il wah è il suo cazzutissimo marchio di fabbrica. The Troll è anche l’ultimo pezzo prima che Born Too Late venga riproposto integralmente. Chi ha familiarità con il repertorio dei nostri sa di cosa parlo. Parlo dell’inno al malessere per eccellenza, dell’album che vide il debutto di Wino nei Vitus. Tutte le miserie/sciagure esistenti sono riassunte in quei sei pezzi. In particolare Dying Inside è assai sentita e sofferta.Quando parte Born Too Late scoppia il casino. Da sotto il palco me la godo tutta e canto spensierato mentre gli odori acri di sostanze continuano a spargersi. Chiudono con un encore in cui propongono la gloriosa Saint Vitus. Serata migliore di questa diffice immaginarsela. Tra l’altro pochi giorni dopo Wino è stato fermato in Norvegia con della metanfetamina e rispedito a casa. La band ha dovuto proseguire il tour europeo con una improvvisata formazione a tre con Chandler e il bassista Henry Vasquez dietro il microfono. Sai che incazzo mi sarebbe salito se l’evento che aspettavo da mesi si fosse fottuto così. Fortuna che non l’hanno beccato qua.
La serata finisce nel migliore dei modi quando becco David Chandler al bar e ci scambio due chiacchiere. Inevitabilmente il discorso cade su un eventuale successore di Lillie: F-65. Dalla viva voce di Mr. Chandler esce, a riguardo, un enigmatico “we will see”. Vedremo.