Mercoledì e giovedì, come spesso accade, sono in Salento. Inizio col Salento medio interno e finisco con il Salento basso, sempre interno: Tuturano, San Donaci, Campi Salentina, Veglie, Carmiano, San Cesario, Cavallino, Merine, Castì, Calimera, Galatina e chi sa.
Ci vado per lavoro. Ma il fatto è che il mio lavoro è un lavoro inconcludente, poco produttivo per le tasche, per come è messo il lavoro in quest'epoca, giusto il necessario perché non mi manchi la dignità del vivere quotidiano. Infatti non ho mai accumulato ricchezze, se non quelle del mio essere interno, molto interno, talmente interno che a mala pena lo percepisco io stesso.
E così, mentre sarò da quelle parti (che si tratta di un non luogo tanto vago quanto dispersivo e vasto), vorrei vedere di incontrare qualcuno che come me (vorrei dire noi, ma è meglio essere cauti), ha perso battaglie e guerre, che ha una vita di fallimenti che segnano la più grande ricchezza del cuore. Vediamo se Tin Up (Tina Minerva) nel pomeriggio è disponibile per un parlamento veloce che ci permetta di trovare un punto da condividere per la nostra mappa interna. Perché il Salento (oltre a "lu sole, lu mare, lu vientu" e la taranta svalutata e svilita dalla civiltà massificante dei consumi che gli ha scippato l'anima con l'inganno), è la più vasta e diffusa area interna dell'Italia.
Che ne so, nel Salento interno ci sono quei paesi che vogliono essere raccontati perché rischiano di essere divorati dall'oblio. Una volta sono stato a Roca li Posti, un vecchio paese dell'antica Magna Grecia, in riva al mare, ad aspettare che rientrasse un gozzo senza pescatore ma con tante reti strappate a bordo. Un'altra volta sono stato ad Acaya. Pure il barone del posto, proprietario del castello, si era dato alla macchia.
Ci servono compagni complici come briganti e so che ce ne sono. Ci teniamo aggiornati.