Magazine Ecologia e Ambiente
Salento leccese senza Bonifica: la palude dei sogni
di Antonio Bruno*
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Tutti abbiamo dimenticato, tutti pensiamo che le paludi non siano mai esistite, che il nostro territorio è stato sempre bello e salubre com'è oggi. Invece dovremmo tutti tenere bene a mente che solo con la consapevolezza del pericolo incombente di tornare alla palude ci consente di evitare guai peggiori e tale consapevolezza è quella che deriva dal Consorzio di Bonifica del Salento, dalla sua azione quotidiana a salvaguardia dell'ambiente e del territorio.
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I tempi passati, il Paesaggio del Salento leccese era caratterizzato dalle sconfinate distese di acqua stagnante che si situavano sia lungo la costa che nell'entroterra. I nostri antenati convivevano con l’impossibilità di soggiornare in quei luoghi a causa dell’infezione malarica, erano costretti a subire l’impossibilità di coltivare la terra perché sommersa dagli stagni fetidi, e non tentavano nemmeno di raggiungere quelle zone per il difficile cammino da intraprendere per le impervie asperità fisiche del paesaggio e per la mancanza di vere strade.
Che ne è stato di quel Paesaggio? Il Consorzio di Bonifica del Salento leccese ha cancellato tutto questo, e la mia narrazione ha lo scopo di ricordare com'era il nostro territorio, anche perchè sappiamo tutti che in mancanza di una puntuale manutenzione del reticolo idrografico del Salento leccese la natura tornerebbe ad avere la meglio e saremmo di nuovo tutti in mezzo a una palude. Così accadde al territorio del Salento leccese quando nel medio evo fu abbandonato a se stesso dopo le bonifiche realizzate dall'Impero Romano, fu per questo motivo che le paludi si rimpossessarono del territorio.
E' possibile avere un'idea ancora più espressiva del Salento leccese osservando le carte di Domenico De Rossi stampate nel 1714. La visione di queste carte ci rende consapevoli che le cosiddette “zone umide” non erano presenti solo sulle coste, poiché interi territori all'interno della nostra provincia c'era la presenza di acque stagnanti. Dalle aree a nord di San Pietro Galatino (Galatina), fino al territorio meridionale di Cellino San Marco. E' davvero sorprendente sapere che le “acque chiuse in depressioni” erano così diffuse tanto da essere temute per le infezioni malariche.
Luciano Milo in un suo articolo riferisce di altre paludi visibili in una zona al centro di un cerchio ideale, segnato dai paesi di Neuiano (Neviano), Culpazzo (Collepasso), Sourrano (Scorrano), Sanaria (Sanarica), inoltre Taviano aveva uno specchio isolato. Tutti questi paesi, come è facile verificare su una cartina, sono all'interno del Salento leccese.
Anche allora la costa adriatica, proprio di fronte alla città di Lecce, era caratterizzata dalla presenza di grandi acquitrini e paludi.
Ma c'è di più, dalle carte del De Rossi possiamo finalmente vedere emergere le foreste del Salento leccese, infatti i territori che le ospitavano prendevano il loro nome proprio dalla presenza di fitti boschi come ad esempio il caso della località "La Macchia", sopra Craparica (attuale Caprarica), oppure "Il Bosco", tra Sandonaci, Guagnano e San Brancatio (San Pancrazio, Salentino dei nostri giorni). Boschi anche dietro le colline di Matino, fino al territorio di San Demetrio e altri boschi oltre l'Arneo, fino a San Giuliano.
Nel 1755 il Marciano, riferendosi alla fascia costiera, di Lecce parla dell’esistenza di una palude detta “stornara”, che rendeva “quell’aere molto cattivo; ma né tempi antichi vi erano alcuni canali che trascorrevano nel mare, e spurgavano la palude”. Era un paesaggio, questo descritto dal Marciano, che stava assumendo una ben precisa connotazione ed il cui processo evolutivo contemplava solo traguardi negativi, quali il progressivo restringimento della superficie destinata alle colture ed il dissennato disboscamento (tra Lecce e Roca c’era la famosa foresta di Lecce, di cui si serba memoria solo nei documenti). Questi fenomeni di deterioramento ambientale si saranno certamente aggravati per la crisi economica e demografica del ‘600; verso la metà del XVII secolo, infatti, alcune masserie della zona risultano abbandonate.
Ancora nel ‘700, tuttavia, forse in seguito ad una qualche ripresa economica e demografica, l’area in questione, ossia quella tra i centri abitati e la costa, era intensamente coltivata, anche in relazione alle paludi. Da un documento del 1755, sappiamo che in diverse masserie della zona si coltivava il lino e, nelle stesse masserie, le attività agrofondiarie erano abbastanza intense e redditizie; la presenza delle paludi, quindi, almeno fino al XVIII secolo, non costituì un fattore di repulsività.
Infatti nel nostro territorio in quei tempi il rapporto tra uomini e paludi è stato incentrato su un rispetto reciproco con l'uomo che si guardava bene dall'andare a stabilirsi nelle paludi. Era una paradigma di un modo equilibrato e, si direbbe oggi, sostenibile, di fruire dell'ambiente della palude.
La percezione di chi viveva quotidianamente nel territorio era pertanto informata di sentimenti di positivo pragmatismo nei confronti delle acque.
Se non ci fossero stati i grandi proprietari che tentarono di coltivare le zone paludose e l'azione del Consorzio di Bonifica del Salento leccese, avremmo ancora estesissime parti di territorio paludose.
Le paludi erano il dramma di tanti contadini nostri antenati, sottoposti al pericolo di prendere la malaria e soprattutto privati di una terra che avrebbe potuto dargli di che vivere.
Purtroppo il primo studio dettagliato sulle paludi del Regno d'Italia risale solamente al 1865, ad opera del Pareto, Ispettore centrale delle bonificazioni e irrigazioni. E solo successivamente il Consorzio di Bonifica del Salento leccese sarebbe intervenuto per rendere vivibile il nostro territorio.
Tutti abbiamo dimenticato, tutti pensiamo che le paludi non siano mai esistite, che il nostro territorio è stato sempre bello e salubre com'è oggi. Invece dovremmo tutti tenere bene a mente che solo con la consapevolezza del pericolo incombente di tornare alla palude, ci consente di evitare guai peggiori e, tale consapevolezza, è quella che deriva dal Consorzio di Bonifica del Salento, dalla sua azione quotidiana a salvaguardia dell'ambiente e del territorio.
*Dottore Agronomo
Bibliografia
Lucia Seviroli: LE MODIFICAZIONI RECENTI DEL PAESAGGIO FISICO SALENTINO DALLE DESCRIZIONI DI COSIMO DE GIORGI
Luciano Milo: Salento 1714
Domenico De Rossi: Carta della penisola salentina 1714, tipografia" in Roma, alla Pace, "con privilegio del Sommo Pontefice"
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