Salone del Gusto e Terra Madre, seconda puntata

Da Pentolapvessione

Dopo la Cena di compleanno di F mi alzo leggermente sotto spirito ovvero lucida ma in piedi per miracolo, preparo un the imperiale, guardo l’ora sul telefono ipertecnologico e tac, la scoperta: è scattata l’ora illegale, le lancette dell’orologio arretrano di un’ora. La mia posizione da “quasi in ritardo” si semplifica in “abbondantemente in orario”. Sorvolo sul pensiero traditore di coricarmi al calduccio ancora dieci minuti, mi preparo e trasvolo verso il Lingotto: seconda puntata del Salone del Gusto e Terra Madre.

Ore 12. La Lavazza mi ha “ufficialmente invitata” con il progetto The Italian Experience in aula D all’interno dei Laboratori del Salone a Bottura e Lavazza: Vieni in Italia con me, workshop di cucina con Massimo Bottura.
Massimo Bottura, l’Osteria Francescana… per usare un eufemismo sono molto incuriosita, fuor di perifrasi sono abbastanza eccitata da alzarmi alle 8.40 ora legale dopo 4 ore di sonno prima del suono della sveglia in stato post-alcolico, vestirmi, mettere Ada nella borsa e uscire di casa alle 10 ora illegale.
All’ingresso incontro A detto T e I, amici e sostenitori di pentolapvessione. Anche loro vanno al workshop. In aula D punto sicura la prima fila, mi siedo, occupo un posto anche per A detto T – I preferisce le retrovie – tiro fuori Ada dalla borsa, carta, penna, tovaglietta e sono pronta.

Vieni in Italia con me. Al primo piatto che assaggio, sono troppo rapita per prendere appunti dignitosi e fotografare ciò che sto mangiando. Mi appunto “romanzo di Schoonmaker anni’30, un viaggio alla scoperta dell’Italia: cultura + paesaggio + gastronomia; caffè, granita di mandorle, capperi dolci + salati, sale, bergamotto candito, vaniglia, origano, … ; l’umiltà che ti permette di evolvere in continuazione più la passione più il sogno; cultura, materia prima, tecnica, cultura personale e passione → piramide di Bottura; profumi, contrasti, aromi…”


Think green. Secondo piatto. I miei appunti si fanno più fitti ma non per questo meglio organizzati: “paesaggio = piatto che resta in menù tutto l’anno, stagionalità, colore, profumo, consistenza; saliamo nel Mediterraneo verso il nord, tra H₂O dolce e H₂O salata, un viaggio al contrario, controcorrente, lungo il fiume Po; atterrando si sprigionano profumi di erba tagliata, che evolve a seconda delle stagioni; erba + caglio in crema della mattinata + zucca tagliata + funghi porcini + pane di caffè + tartufo bianco d’Alba” …le suggestioni così difficili da appuntarsi sono tutte nel piatto. Scarto le lamelle di porcino e le do ad A detto T, A detto T purtroppo non scarta le sue lamelle di tartufo per darle a me.


Anguilla sporca. Terzo piatto. Ascolto assorta cercando di scrivere: “Il viaggio degli estensi da Ferrara a Modena; anguilla laccata con saba e caffè e crema di polenta e mela carpanina”… ricordi, concetti, congetture, assonanze e allitterazioni fattesi cibo. Il video sul sito dell’Osteria Francescana è decisamente più esplicativo dei miei appunti.
Sono stupita da quanto i piatti non siano riconducibili a nulla che abbia mai assaggiato, differenti come accostamenti e consistenze, ricchi, così legati a rimandi e riflessioni letterarie, musicali e pittoriche da diventare un labirinto gastronomico-culturale… e intanto la brigata di cucina allestisce di fronte ai nostri occhi l’ultimo colpo di scena.

Quattro piatti per il quarto piatto. Bottura legge Picasso di Gertrud Stein “Ricordo benissimo di essermi trovata con Picasso all’inizio della guerra […]  avevamo sentito parlare di mimetizzazione…” la Stein e Picasso danno spunto a Camuflage, una lepre nascosta nell’erba in un prato di sapori e colori e cacao peruviano e zucchero e sale alla vaniglia e topinambur e sedano rapa e tartufo disidrato. Riflessioni sulla marinatura e il civet che assaggiamo tutti leccandoci il dito.
Applausi a scena aperta anche il giorno di riposo.

Ore 17. Dall’aula D alla Sala Arancio. Comunicare la cultura del cibo. Mi sposto sempre con Ada in borsa, prendo posto, posiziono il Talismano, saluto la gentile Elianza Lanza che mi ha invitata, mi presento agli altri relatori, ascolto altre esperienze e percorsi e mi diverto nel raccontare la mia piccola storia di cucina e di ricette condivise.

A casa ci aspetta una bella bistecca alla fiorentina ma dopo tutti questi sapori la posticipo a domani.

Fino al 10 novembre al fondo di ogni post comparirà  Taste&Match, aderite numerosi!

Ed eccomi qua pronta per la serata Winexplorer ideata da Fernando Wine, alla sua seconda edizione torinese.
Due antipasti + due primi + due secondi + due dolci = Otto piatti, otto portate per otto vini, otto abbinamenti per otto assaggi, otto foodbloggers per otto pietanze.
A me il compito di cucinare un antipasto che si abbini con un secco e fresco Erbaluce Rustìa 2011 di Orsolani.
Dopo averlo annusato e assaporato sfoglio attentamente il Talismano e opto per questa ricetta di Manzo in involtini di cavolo, che da noi in Piemonte sarebbe il capunet.
Mentre le altre ragazze si sbizzarriscono in incredibili ricette fantasmagoriche che avrete presto il piacere di scoprire e l’onore di assaggiare io come sempre vado sul classico, la cara Ada è una signora tradizionale. L’unica variazione che apporto alla ricetta sono le dimensioni: dovendo fungere da antipasto riduco il formato fino a farlo diventare mignon, un boccone e via. Voi astanti avrete così modo di gustare gli antipasti senza sentirvi satolli dopo una sola portata, proprio come succede a noi questa sera.
Ci vediamo il 10 novembre!
Cliccando qui troverete tutte le informazioni necessarie per partecipare.

Per 4 persone

Manzo in involtini di cavolo

Cavolo cappuccio 8 foglie tenere ma belle grandi
trita di manzo 200 g
mollica di pane 35 g
tuorlo d’uovo 1
parmigiano grattugiato 1 cucchiaio
prezzemolo 1 ciuffo
sugo d’arrosto
sale

Sfogliate il cavolo facendo attenzione a non rompere le foglie, mettete a bollire un bel pentolone d’acqua, al bollore salate, tuffateci dentro le foglie, appena riprende il bollore scolatele – ci vorranno pochi minuti – sciacquatele sotto l’acqua fredda e mettetele ad asciugare su un canovaccio continuando a fare attenzione a non distruggere le foglie che devono rimanere intere. Preparate il ripieno mescolando con cura in una terrina la carne trita, il tuorlo, il parmigiano, il prezzemolo tritato e la mollica di pane inzuppata nell’acqua. Dividete le foglie di cavolo in quattro parti della stessa grandezza togliendo la costa dura centrale, prendete piccole porzioni della farcia preparata e disponetele al centro di ogni foglia, arrotolate la foglia in modo che il ripieno non esca, cospargete il fondo di una teglia con il sugo finto, allineate gli involtini, copriteli con un po’ d’acqua calda in cui avete stemperato qualche altra cucchiaiata di sugo d’arrosto e infornate per una mezz’ora abbondante, finché il sugo non si è addensato.
Morale del Manzo in involtini di cavolo: è una ricetta tipica del canavesano, una cugina prima dell’Erbaluce, una ricetta volendo anche povera perché nella farcia ci potete far finire anche avanzi di arrosto, fette solitarie di prosciutto, raminghi fondi  di mortadella, remoti affettati che vagano da un po’ nel vostro frigo. Tra cavolo, carne e sugo finto il sapore è ricco e stuzzicante.
Così piccoli sono un ottimo antipasto; se preferite servirli come secondo o non avete la pazienza del Buddha e volete prepararli più grandi potete optare per dividere la foglia di cavolo in due parti, se avete la fame di Obelix e avete perso per strada la pazienza di Giobbe potete non dividere le foglie affatto.



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