Demenza senile
Con immensa pazienza ricomincia a contare
ogni volta e il numero è sempre diverso
un lampo e la conta riprende
l’orizzonte confuso risponde allo sguardo
appannato il braccio si tende a cercare il confine
soltanto il dappresso resiste svuotato
Annina ha scordato ogni nome
a ogni minuto riapprende di essere viva
in ogni finito presente dei presenti infiniti
che fanno il suo tempo
Annina ricerca i suoi gatti remoti
e recenti premure ancora brillanti
allunga le mani prudenti
insistenti le pare di udire richiami
di fame calore adiacenza
Lo smarrimento
Fingere di star bene è un’arte
praticata da esseri pazienti
saggi apparentemente
e apparentemente solidi
sicuri
cui appoggiarsi e i cui piedi
s’appoggiano ben fermi sulla terra
radicati perfino e sereni
fingere per amore
d’avere orientamento riconoscere
i venti e i sentieri
apparecchiare un riparo
se chi ami lo chiede
sostenerlo oltre il precipizio
del tuo smarrimento
Sparito
Un giorno, una notte forse
o un pomeriggio, il Dio del Tempo
(che non ha orologio, né mai
ne ha avuti –avrà un significato-)
al balcone affacciato
mi notò e, la fronte
corrugata, si volse a un valletto
per chiedere chi ero
quello, perplesso, si sporse
e chiese “quale?”–
il Dio indicò col dito
tra la folla ma io
che avevo un altro tempo
già non c’ero
Confini
Molti stranieri dei più diseredati
restano a vivere accanto alle stazioni o ai porti
sì che il mare o i binari nutrano corde
che li tengano adesi alla terra
trasportino sguardi e voci
di eventuali madri
Messapia
Ci adottammo io e lei
subito, or sono molti lustri
la terra rossa e verde
in riva al mare fertile e desolata
Messapia la chiamava ancora
un uomo che ammiravo
senza gettar radici rimasi uno straniero
per potermi ostinare ad osservare
e non sentirla mia (ché nulla ci appartiene)
né concedermi mai (essendo io già d’altro)
gli spazi più infiniti che in altrove
da me mai conosciuto
- qualcuno dice della Patagonia,
ma non so -
gli orizzonti lontanissimi dall’alto dei poggi
e delle dune
e sopra tutti quello che all’alba dal piazzale
della “casa dei fantasmi” proprio ai fantasmi
afferra lo sguardo e lo strega
il vento tagliente o umido e asfissiante
l’albachiara e l’albanera
le leccine e gli olivastri
mirti lavande rosmarini
le stelle e le tammorre
ancora
lusingano i miei pensieri
conservano i miei amori