Salvatore Di Giacomo, nato a Napoli il 13 Marzo 1860, è un poeta, un artefice di emozioni che ha dato al mondo componimenti di bellezza immensa, molti dei quali sono stati musicati e sono ora conosciuti in tutto il mondo, ma che purtroppo è pressoché ignorato a livello nazionale poiché la sua produzione è prevalentemente in lingua napoletana: l’ennesima vergogna italiana, poiché si tratta tra l’altro di chi ha scritto il testo di “Marechiare”, la celebre canzone eseguita ancora oggi in ogni parte del globo terrestre.
Essendo figlio di un medico, il padre voleva per lui una carriera simile, così Salvatore controvoglia si iscrisse alla facoltà di Medicina, che abbandonò nel 1880 in seguito ad un episodio da egli stesso descritto: mentre assisteva ad una lezione di anatomia che il professore conduceva servendosi del cadavere di un vecchio, Di Giacomo preso dalla nausea uscì dall’aula, ma a questo punto vide il bidello che portava in mano una tinozza con delle membra umane, che scivolò versando tutto il contenuto sul pavimento. Questa esperienza macabra causò la fuga del giovane dall’edificio, nel quale non sarebbe più entrato: una visione che solo un malato di mente può invidiargli, la quale tuttavia fece la sua fortuna perché da allora in poi poté dedicarsi alla sua passione, la letteratura. L’artista cominciò allora a scrivere racconti e recensioni per varie testate giornalistiche, tra cui la famosa “Il Pungolo” su cui nel 1902 apparve una recensione di Saverio Procida su Enrico Caruso, la quale infastidì il tenore che non si sarebbe più esibito a Napoli.
Enrico Caruso a Salvatore Di Giacomo
Di Giacomo pubblicò la sua prima raccolta poetica, Sonetti, nel 1884, che fu seguita da altre opere negli anni successivi e nel 1892 fondò con vari intellettuali, tra cui Benedetto Croce, la nota rivista Napoli nobilissima. Fino agli inizi del Novecento la popolarità e l’apprezzamento verso l’autore crebbero sempre di più, ma a un certo punto i consensi tra i critici scemarono perché questi gli rimproverano la produzione esclusivamente in Napoletano. In suo soccorso venne però l’amico Croce con uno studio nel quale affermava come il poeta Di Giacomo avesse dimostrato di essere un eccellente scrittore di versi: questa abilità basta a se stessa, la lingua in cui viene fatta poesia è un fattore secondario e Salvatore Di Giacomo era, nei fatti, un grande poeta.
Se “Marechiare” era il suo componimento più celebre, tale da essere conosciuto come “l’autore di Marechiare”, c’è da dire che il poeta non amava fatto questi versi che considerava ordinari e banali. Un giornalista, Roberto Minervini, scrisse queste parole su Salvatore di Giacomo: “Alle trattorie di lusso preferiva nascoste osterie tra una pietanza e l’altra rimaneva trasognato, né valevano a ridestarlo le sue canzoni, sonate e cantate per fargli onore dai posteggiatori di quei pittoreschi locali. Non amava Marechiaro, la più celebre di tutte, perché veniva indicato non come l’autore di Ariette e Sunette o Assunta Spina, ma come l’autore di Marechiaro. Il puntuale riferimento lo infastidiva e lo innervosiva: una sera al Gambrinus, caffè prescelto per abituale convegno di letterati, giornalisti e uomini politici, gli fu presentata una signora che anch’ella non gli risparmiò il dolore: poco dopo fu visto allontanarsi, salutando, appena con un gesto, i presenti”.
Non potevamo che chiudere questo brevissimo ritratto di Di Giacomo con i suoi versi: in questo caso Era de Maggio, cantata dall’altrettanto grande Roberto Murolo.