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Samhain – Racconto vincitore del Contest Autunnale 2013

Creato il 21 dicembre 2013 da Visionnaire @escrivere

Maschera del carnevale veneziano

SAMHAIN

Valerio Caio Castrense, detto il Britanno, controllò ancora una volta che il gladio non sporgesse dalle pelli sotto le quali stava sudando da almeno un’ora, nonostante il freddo pungente. Quell’anno l’autunno era arrivato in Britannia già carico dei venti gelidi dell’inverno, minacciando di rovinare gli ultimi raccolti e i festeggiamenti di Samhain.
«Siete sicuro di volerlo fare, signore?» chiese il ragazzino che era stato mandato nella sua tenda per aiutarlo a preparasi. Gli occhi vivaci del giovane incontrarono i suoi e subito corsero via mortificati. «Perdonatemi, non avrei dovuto rivolgervi la parola.»
Il volto corrucciato di Valerio si addolcì in un sorriso. «Non c’è motivo per cui tu non possa parlare con me. Io non sono Cesare, sono solo un soldato.»
«Voi non siete solo un soldato! Siete un eroe! L’eroe che consegnerà i barbari a Roma!»
Il fervore con cui il ragazzino parlò imporporò il viso dai lineamenti ancora infantili, facendo quasi sparire le lentiggini che punteggiavano il naso. Quell’espressione entusiasta ravvivò nella mente di Valerio il ricordo di suo figlio Owain: rivide i ricci dorati danzare nell’aria mentre sedeva in sella davanti a lui, il sorriso gioioso quando gli correva incontro, il volto addormentato sulle gambe della mamma. Cerewyn. Era passato un anno dalla loro morte e il dolore era lo stesso di allora. Il sorriso sfiorì sotto il gelo del rancore.
«Tu non sai cos’è un eroe, ragazzo. E ora sbrigati con quei lacci.»
Non disse altro durante la vestizione e, quando il giovane ebbe finito il suo lavoro, lo congedò con uno stizzito cenno del capo. Un eroe. Strinse i pugni pensando a quanto fosse sbagliato un mondo che non sapeva distinguere un atto di eroismo da una strage compiuta per vendetta. Lui stesso era caduto nell’errore di chiamare col nome di giustizia il desiderio di sterminare il popolo che lo aveva privato della sua famiglia. Chi aveva ostacolato l’amore tra lui e Cerewyn solo perché lui era un legionario romano e lei una donna britanna aveva già pagato, così come chi aveva rifiutato di accogliere tra la propria gente la sua famiglia e chi aveva chiamato sua moglie traditrice e suo figlio bastardo. E ancor più aveva pagato chi li aveva infine condannati al rogo.
Gli ci era voluto un anno per capire che non era giustizia ciò che cercava e che il suo disprezzo era tanto per il popolo di Cerewyn quanto per Roma. Ma quando infine se ne era reso conto aveva deciso di sfruttare le tradizioni del primo e la forza militare della seconda per i propri scopi.
Si strofinò sul viso l’impasto di acqua e carbone per completare la maschera, guardò la sua immagine riflessa nello specchio e si compiacque del risultato. Laddove un tempo c’era Valerio Caio “Britanno” Castrense, legionario di Roma, ora c’era uno spauracchio per gli Spiriti di Samhain.
Quando uscì dalla tenda, il sole sfiorava già l’orizzonte. Si diresse alle stalle, ignorando gli sguardi di invidia e ammirazione dei suoi commilitoni e i preparativi per la battaglia dell’indomani. I veri guerrieri combattevano alla luce del sole, spada contro spada; solo gli assassini strisciavano nell’ombra. Strinse la mascella sotto lo strato di nero e slegò il suo cavallo. Confuso dalle informazioni discordanti che gli davano vista e olfatto, il vecchio baio scostò la testa quando Valerio allungò la mano per accarezzarlo, poi però qualcosa lo convinse a fidarsi dell’odore dell’uomo e a lasciarlo salire in sella.
Si lasciò alle spalle la piana desolata su cui sorgeva l’accampamento romano e cavalcò tra i colori della foresta. Una volta naturale di oro e rame filtrava i raggi di fuoco del tramonto incendiando a tratti le cortecce bianche delle betulle e disegnando un intrico d’ombre sul tappeto rossiccio del sottobosco.
Quando fu in prossimità del villaggio, lasciò il cavallo tra gli alberi e si incamminò a piedi verso le capanne. Gli stivali affondavano nel terreno, dove giacevano foglie morte che un tempo avevano colorato la foresta di un bel verde brillante. Era una buona stagione per onorare la morte.
Davanti alla porta di alcune capanne era stato lasciato del pane e un po’ di latte per ingraziarsi gli Spiriti e lungo le vie erano stati già spenti tutti i fuochi. Qualcuno lo afferrò per una spalla e Valerio portò istintivamente la mano al fianco, dove, nascosto da strati di pelli, il suo gladio era pronto a colpire.
«Prendi una delle mie Samhnag, giovanotto» disse in celtico un vecchio, porgendogli una rapa scavata al cui interno ardeva una fiammella.
«I druidi hanno già acceso il Fuoco Sacro sulla collina?» chiese Valerio nella stessa lingua, sapendo che era proprio dal falò sulla cima del colle che venivano prese le fiammelle per le lanterne di rapa e le braci per i focolari domestici.
Infatti il vecchio annuì e indicò il sentiero che si inerpicava sul pendio. «Fai presto o perderai il rito dell’immersione e non saprai se sarà stata la tua donna a mordere la mela! Io l’ho scoperto solo sei mesi dopo Samhain, il giorno in cui l’ho sposata, e non mi sarebbe dispiaciuto averlo saputo prima!»
Valerio sorrise, pensando che anche Cerewyn aveva addentato la mela immersa nel catino durante il Samhain dell’anno in cui si erano sposati.
«Tu non vieni?» chiese al vecchio.
«Oh, no, io sto tornando a casa. Sono troppo vecchio per avere ancora qualcosa da chiedere agli Spiriti o per resistere al loro richiamo. Ma tu ti sei mascherato bene: avrai le risposte che desideri senza rischiare di essere portato via.»
Valerio ripensò alle parole del vecchio mentre risaliva il pendio spoglio che portava in cima alla collina, dove ardevano i fuochi. Non aveva mai creduto né nelle divinità celtiche né in quelle romane, nonostante avesse sempre rispettato la devozione di Cerewyn e servito bene gli dèi di Roma, ma il culto dei morti era l’unico che sentisse davvero, fosse esso rivolto ai Lari o all’Annwn. Forse per questo motivo gli erano sempre piaciute la celebrazioni di Samhain, quando cadeva il velo tra il mondo dei vivi e quello dei morti e le strade erano popolate da Fate e Spiriti. Avrebbe dato tutto ciò che gli rimaneva per poter credere che, anche solo per un giorno l’anno e anche solo come anime, avrebbe potuto rivedere sua moglie e suo figlio.
Man mano che saliva sul colle, Samhain prendeva vita: si banchettava con noci, funghi, pane e carne degli animali appena macellati, si celebrava il primo raccolto del vischio, si praticavano i rituali con le mele. Uomini e donne vestiti con pelli di animali si esibivano in danze ispirate al ciclo solare, i druidi scrivevano i loro messaggi ai defunti affidandoli alle fiamme del Fuoco Sacro. Si teneva lontana la morte proprio nel periodo dell’anno in cui essa faceva la sua comparsa.
Valerio pensò che non c’era momento più adatto per compiere l’ultimo passo di quella che era diventata la sua missione.
Entrò nell’alone di luce del Fuoco Sacro, mentre il gladio premeva contro il suo fianco, desideroso di essere liberato. Attorno a lui continuavano le danze, i canti e i rituali. Gli ultimi coraggiosi che avevano affrontato Samhain senza maschere protettive si ritirarono verso il villaggio per nascondersi agli Spiriti in arrivo. Un ragazzino gli chiese se poteva prestargli la Samhnag, la lanterna ricavata da una rapa, e Valerio gliela porse sentendo il suo ringraziamento ai margini della propria coscienza. La realtà si tinse dei colori del sogno, divenne un calderone nel quale si mescolavano suoni e voci, luci e ombre.
Il velo tra i mondi stava cadendo.
Una figura prese forma davanti a lui, dapprima incorporea, come fosse fatta di nebbia, poi sempre più reale. Si guardò attorno spaventata, stringendo al petto il suo bambino.
«Cerewyn! Owain!» gridò Valerio riconoscendo sua moglie e suo figlio in quelle apparizioni.
Un druido lo trascinò via prima che lui potesse correre verso di loro.
«Sei impazzito? Non devi mai chiamare gli Spiriti per nome o la tua maschera non avrà più alcun effetto. Ti riconosceranno e ti porteranno con loro nell’Annwn!»
Valerio cercò di divincolarsi, ma la stretta dell’uomo era forte nonostante l’età non più giovane. Portò la mano sotto le pelli ed estrasse il gladio sollevandolo perché il druido potesse vederlo. Come si aspettava, la paura lo fece retrocedere e Valerio fu finalmente libero di muoversi. Stringendo l’elsa nel pugno, si sfilò le pelli che lo ricoprivano rimanendo solo con la corta tunica che i legionari indossavano sotto l’armatura. Il freddo gli punse la pelle, ma, ancora perso nello squarcio tra i mondi, Valerio non se ne curò. Gettò nel Fuoco Sacro il gladio e le pelli, Roma e la Britannia, poi barcollò fino ai tavoli dove erano sistemati i catini per il rito dell’immersione e si ripulì il viso dalla maschera di carbone.
«Cerewyn!» gridò. «Owain!»
Lo Spirito della donna ricomparve davanti a lui.
«Valerio…» mormorò allungando la mano nella sua direzione. Il bambino si protese verso colui che in vita era stato suo padre.
Valerio sorrise e sfiorò le loro mani.
«Portatemi con voi.»
E il mondo degli Spiriti li accolse.

Il racconto che avete letto è opera di Ariendil ed è risultato il migliore tra quelli che hanno partecipato al Contest Autunnale 2013. Il tema da seguire era stato scelto da kapello (vincitore del Contest Estivo dello stesso anno): Il tema era quello dell’Autunno. La boa obbligatoria prevedeva che ci dovesse essere una festa in maschera in cui il protagonista non conosceva nessuno. Il genere era libero, così come il numero di caratteri.

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    ariendil

    Chi sonoMi sarebbe piaciuto essere una cantastorie nei tempi in cui le storie si raccontavano in piazza o accanto al focolare. Ma non mi dispiace essere ciò che sono: una ragazza con la passione per la scrittura e la lettura (fantasy e non solo) che per lavoro si occupa di cuori… Alla fine, si tratta sempre di raccontare una storia.


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