In pieno centro storico a Napoli, tra case e balconi, lenzuola stese al sole e clacson strombazzanti di auto nel traffico, sorge l’antico complesso termale di San Carminiello ai Mannesi, in un più recente passato una vera e propria chiesa partenopea.
In vico I Carminiello ai Mannesi, precisamente a Est di via Duomo e incastrato all’interno dell’isolato delimitato a Nord da via Tribunali e a Sud da via San Biagio dei Librai, il sito archeologico in realtà fu scoperto per puro caso nel 1943 durante i lavori per la rimozione delle macerie della chiesa di Santa Maria del Carmine ai Mannesi, sventrata e distrutta a causa dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Una prima chiesa in verità venne eretta in un periodo imprecisato dell’Alto Medioevo, la quale venne inglobata nella Chiesa cinquecentesca di Santa Maria del Carmine ai Mannesi nel corso del XVI secolo. Il diminutivo della lingua napoletana Carminiello fu adoperato per suggerire l’idea delle dimensioni modeste della chiesa, mentre il toponimo ai Mannesi simboleggiava tutta l’area d’appartenenza in quanto si riferisce agli artigiani che ivi lavoravano, riparando o costruendo carri. Tutto il tempio venne raso al suolo durante un’incursione aerea e solo grazie ai lavori di recupero si è dedotto che i muri e il fondo della chiesa nascondevano i resti di un grosso edificio d’età romana: l’estensione riguardava l’intera insula compresa tra il Decumano Maggiore e il Decumano Minore di Napoli, nel cuore del centro storico della città greco-romana; così il vasto ritrovamento archeologico ha preso il nome di San Carminiello ai Mannesi.
Resti di San Carminiello ai Mannesi
L’edificio religioso romano che inglobava in sé i resti di una fondazione di una domus tardo-repubblicana, si estendeva per circa 700 mq con circa 18 ambienti; è stato edificato alla fine del I sec. d.C. ed è articolato in 2 piani presentando delle volte a crociera e archi in laterizio con delle specchiature in opera reticolata di tufo giallo. Il piano inferiore era destinato ad ambienti di servizio disposti tutt’intorno a una grande sala rettangolare affrescata; nei seminterrati invece erano presenti stanze adibite a magazzini di deposito. Nata come una grande casa privata in età imperiale, dopo il terremoto del 62 e l’eruzione del 79 d.C., fu poi convertita in grande complesso termale, il cui ambiente è riconoscibile verso Sud. Al piano superiore è inoltre visibile una grande vasca rettangolare ricoperta in cocciopesto (materiale usato dagli antichi Romani per pavimenti a contatto con l’acqua per le sue caratteristiche impermeabili. Da Vitruvio veniva chiamato anche Opus signinum – ndr) e una vasca più piccola centrale con gradini e fontana rivestita di marmo bianco.
San Carminiello ai Mannesi
Nel corso del tempo il Complesso subì notevoli ristrutturazioni durante le quali furono messe in luce altre caratteristiche del sito: una delle più importanti fu l’installazione di un Mitreo, in 2 ambienti del piano inferiore; la zona era dedicata al dio Mitra (importantissima divinità dell’induismo e appartenente alla religione persiana, ma assorbita anche nel mondo ellenico e romano – ndr), il cui culto trovò larga diffusione sopratutto in ambito militare. Il Mitreo è ben riconoscibile dai resti di un rilievo in stucco visibile sulla parete di fondo dove si può ammirare la rappresentazione del dio Mitra nell’atto di uccidere un toro; successivamente verso occidente vennero poi innalzati dei piastrini rettangolari in blocchi di tufo e laterizi, forse per creare un porticato esterno.
Mitra che uccide il toro
La vita che gravitava intorno al Complesso di San Carminiello ai Mannesi non si è protratta oltre la fine del IV secolo; infatti sino al VII secolo questo scenario così pregno di storia e ricco di fascino è stato deturpato nella sua interezza e nella sua dignità poiché veniva utilizzato come mera discarica e ricettacolo per i rifiuti urbani. Nei primi anni ’80 furono svolti i primi scavi stratigrafici di recupero che hanno permesso di riportare alla luce resti e reperti archeologici importanti, sopratutto ceramiche, ossa, vetri e monete; grazie a tali reperti è stato possibile non soltanto studiare e riconoscere il progressivo declino degli allevamenti di animali domestici e dunque dell’alimentazione a esso correlata, ma anche e sopratutto ricostruire i flussi commerciali della Napoli alto-medioevale. Nello specifico gli studiosi hanno capito che fino al VI secolo, Napoli intratteneva solidi rapporti commerciali con il Mediterraneo, importando derrate alimentari (in primis olio e vino – ndr) dalla Tunisia, dall’Asia Minore e dalla Siria; inoltre Napoli commerciava anche la cosiddetta ceramica da mensa del tipo sigillata chiara dalla Tunisia all’Asia Minore, anche nel Levantino. É forte inoltre anche la testimonianza di una ripresa di produzione di vino campano e molto probabilmente l’attività di produzione di un’officina vetraia in zona.
Particolare San Carminiello ai Mannesi
Dopo il VII secolo taluni ambienti del Complesso furono riutilizzati per i più svariati impieghi (depositi, scantinati e così via – ndr) e dunque aperti alcuni varchi nei muri antichi. La vasca marmorea con fontana centrale venne adoperata come sepolcro per un gruppo di infanti, la cui età oscillava tra i 4 mesi e i 4 anni circa; tali salme venivano ricoperte da terreno e ceramica invetriata del XIII secolo.
Bibliografia:
Arthur P. e Vecchio G. Il complesso di vico Carminiello ai Mannesi, Napoli 1985, pag. 213 – 225.
Regina V. Le chiese di Napoli. Viaggio indimenticabile attraverso la storia artistica, architettonica, letteraria, civile e spirituale della Napoli sacra, Napoli 2004.