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Sandro Angelucci, "Si aggiungono Voci"

Creato il 30 marzo 2015 da Signoradeifiltriblog @signoradeifiltr
Sandro Angelucci,

Tempo addietro mi capitò tra le mani una meravigliosa e antica poesia degli indiani d’America (*) che ben rappresenta quello che fu il loro profondo amore e rispetto per la terra, che li rendeva capaci di capirne i minimi messaggi. Leggendo i versi di Sandro Angelucci ho ritrovato quello spirito contemplativo, quella capacità, per certi aspetti animale, di capire il linguaggio degli elementi. E il fatto è che gli elementi parlano con un linguaggio immenso, ma così minuscolo, così piccolo, che risulta difficile fermarsi ad ascoltare. Occorre prendere le pinze da orologiaio e fare gli stessi minimi movimenti per cogliere la brevità del volo di un’ape, la dolcezza di una piuma, il respiro del vento o il tremolio di un fiore su un prato. Non parlo di tempeste, di fiori giganteschi, ma di brezza e di fiori in un prato, un prato che non ha bisogno di essere sconfinato per stupirci, perché si riassume tutto nel nostro sguardo, canta nella sua pace, vive nel suo lasciarsi pettinare o calpestare. Mi viene in mente Vivaldi, ma non la sua tempesta, non il suo allegro, semmai qualche adagio appena accennato, che però, anche nella sua delicatezza ha il potere di trasformarsi in tuono e temporale.

La poesia di Sandro Angelucci risveglia in me quelle sensazioni. Quindi anch’io prendo in mano quella realtà, con le pinze da orologiaio, perché a volte la bellezza è fatta di cose minuscole, e non puoi prenderla in mano perché le dita sono troppo tozze e grandi, occorre quella delicatezza che non hai, le cose belle sono tanto piccole che se tentando di prenderle con la mano ti cadessero per terra, si confonderebbero con la polvere del pavimento. E qui la poesia riesce nel suo intento: “sono le traiettorie / senza nessuna logica apparente / la speranza”, già, le traiettorie. Nulla vi è di più effimero, perché nell’attimo stesso in cui le esprimiamo loro non sono più, sono solo linee immaginarie, in realtà è il movimento che le traccia, ma non esistono, come non esiste la speranza, se non nella nostra mente. Ma traiettoria e speranza non possono essere separate, loro vivono sempre insieme. Quindi “saranno i voli” indipendentemente dalle traiettorie, che ci salveranno.

Cogliere quindi il volo di un merlo, il battito d’ali di una farfalla, il ronzio di un’ape, il muggito di una mucca che non vedi, perché è lì nella sua stalla, lontana dal suo antico mondo. Ma non è poesia campestre, pur se il richiamo della natura è dominante, l’autore non si discosta dal suo mondo di “Abbrutiti. Schizofrenici. Impazienti.” Quel mondo siamo noi, mentre “… l’uccello non finisce di cantare / il vento / prende a respirare con le foglie / e le montagne / (immobili, sicure) / aspettano l’arrivo della luce”. Imperturbabile, la natura, continua il suo percorso, e pur se noi insistiamo “(distratti, inebetiti) / a spargere catrame, a bestemmiare”, lei ristabilisce sempre i suoi equilibri. Quindi l’autore contempla questa natura, e dice al merlo “Se fossero di piombo le tue bacche, / se al posto del becco / avessi una mitraglia / t’inviterei a spararmi addosso”.

Ma alla fine il poeta sa che non succederà, e continua il suo volo di versi, che come “una goccia di miele / che cade nel latte bollente” si dissolvono nel lettore per diventare un nuovo pensiero, perché “un grumo di bellezza che si scioglie” ha una forza struggente e regala la speranza di un nuovo battere di ali.

(*)

Perso

Fermati,

gli alberi davanti e i cespugli di fianco a te

non sono persi.

Ovunque tu sia, si chiama QUI,

e tu lo devi trattare come un potente sconosciuto,

devi chiedere il permesso di conoscerlo

e di essere riconosciuto

La foresta respira. Ascolta. Risponde,

ha creato questo luogo intorno a te,

se lo abbandoni potresti ritornare ancora, dicendo QUI.

Mai due alberi saranno uguali per il corvo,

mai due alberi saranno uguali per lo scricciolo.

Se ciò che un albero o un ramo fa non ha effetto su dite, tu sei sicuramente perso.

Fermati.

La foresta sa dove sei. Devi lasciare che ti trovi.

Antica poesia degli indiani americani.


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