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sangue

Da Foscasensi @foscasensi
Il sangue vivo in corpo dà il sentimento, o la vertigine, del mulinello. Alla prima percezione, che è infantile e di solito a letto riversi su un fianco, il luogo è l'orecchio. La notte è o sembra alta, la stanza è deserta, non sono passi quelli che sento? Di più. Tuoni, giganteschi. Bum bum bum. La stanza è vuota. Mamma, papà: nessuno può svegliarsi o aiutare o capire quello che sta succedendo. E tamburi nel cranio come passi, deve essere un orco. Arriva. Bum bum bum.
Quell'inganno di circolazione, quel dentro trasformato in fuori, sono rivoli di sangue forsennati nel diametro robusto delle arterie delle vene, sono le linee pulsanti con cui ho immaginato, nell'infanzia nelle fattezze di un mostro, la nostra sostanza torrentizia e circolare. Stanotte ritrovo lo stesso sangue.
Fiori che ronzano si allumacano benvenuti insopportabili fino alla fine del corpo – il sentimento del confine.
Sì, volendo spiegare una cosa il sangue è un tessuto; volendone dire un'altra, per me, è fiori e acqua, o meglio, il vorticare dei fiori in quell'acqua. E la testa un'ampolla il cuore uno strizzo, e quel che viene fuori nella notte un'incontinenza vigorosa appunto di sangue dalla radice del corpo per miliardi di semi che guardano e bevono, le piante tremano e sono curve, un cane urla, l'aria notturna è malsana e certo fredda. Da sotto le coperte dove sono sento il vento fuori e sento che il torrente stanotte ristagna in un posto preciso e duole. Quel posto è la testa: il cranio è argilla, il pieno è minestra e un rimescolio divino, ci credo ancora, di un cucchiaio d'argento.
Non ho portato libri ma quasi nessuno lo ha fatto. Siamo in una stanza con cinquanta sedie disposte in cinque file davanti a una tivù che dà il telegiornale. Quelli che stanno in piedi aspettano allo sportello dell'accettazione che arrivi il loro turno. Un uomo si tiene sveglio battendosi le cosce, un paio di donne anziane parlano a bassa voce probabilmente dell'infermiera che tra poco sbrigherà le loro pratiche per fare le analisi. Dall'altra parte della stanza, chi ha avuto il numero per il prelievo è seduto davanti al televisore e sonnecchia nel cappotto, nonostante il caldo.
Per essere all'ospedale di Viareggio alle sette mi sono svegliata alle cinque. Quando mi hanno chiamata mi sono coricata su una poltrona da dentista con un bracciolo avvolto in carta bianca, ho denudato l'incavo e ho lasciato che l'infermiera lo strizzasse in cima, quasi all'ascella, col laccio di gomma. Alla mia destra e alla mia sinistra paratie azzurre ci separano dagli altri pazienti che stanno facendo la stessa identica cosa, davanti la tenda non è tirata passano infermiere e medici calzati di galosce di plastica. Bum bum bum. La donna titilla la pelle e dai nervi dai muscoli da una tenerezza di grasso il torrente affiora. Alcool. Bum bum bum. Non sono passi quelli che sento? Non è un tacco un rostro, una bava ma sottile, quella che mi entra e succhia? Devo disserrare il pugno, mi ronzano le orecchie. Le fiale adesso sono piene e scure. Ci troveranno un orco.



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