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Sangue e Fantasmi: La Morte di Halpin Frayser di Ambrose Bierce
Creato il 01 agosto 2011 da Alessandro Manzetti @amanzettiLa Morte di Halpin Frayser (1891) di Ambrose Bierce è un classico della letteratura gotica, ricco di anticipazioni, assemblato con una atmosfera rarefatta e misteriosa che apre una porta tra il sogno, il delirio e la realtà, offrendoci una osservazione psicologica della Morte. Elementi onirici e riferimenti letterari si fondono creando un racconto inquietante, una oscura angoscia che stringe la gola del lettore. L’interpretazione psicologica è avveniristica per i tempi, come l’impossibilità di conoscere la realtà, dominata da forze oscure e impenetrabili per le nostre limitate interpretazioni fisiche.
L’idea del ritorno nella realtà di un corpo senza anima ci fa galleggiare tra la classica simbolizzazione del fantasma e la moderna figura dello zombie, che nella Morte di Halpin Frayser non vaga ciecamente alla ricerca della prima preda umana a disposizione, ma ha un chiaro obiettivo, vendicarsi. Bierce immagina la realtà fuori dalla nostra comprensione, la nostra cecità di fronte a profondi misteri, attraverso un uomo che vaga di notte in un bosco insanguinato, che presto svela l’orribile presenza di spiriti maligni che abitano o accedono al nostro mondo. I meccanismi dell’inconscio incontrano le forze del Male. E’ il sogno stesso a generare creature sanguinarie o rappresenta solo una porta per una diversa dimensione? Questa dimensione oscura, apparentemente senza confini, è reale e può uccidere? Bierce lascia aperte queste domande, spingendo l’inquietudine a correre tra le pagine del suo racconto e nelle vene del lettore.
Qualche cenno sulla trama: Halpin Frayser, giace addormentato sul terreno di un bosco, agitato da sogni terribili. Gli sembra di percorrere una strada interminabile fra gli alberi e giunto a un bivio, di imboccare senza esitazione il sentiero sbagliato. Arrivano alle sue orecchie sussurri in una lingua sconosciuta, finché, al tramonto, si accorge che tutto il bosco è orribilmente insanguinato. Sangue sulle foglie, sui tronchi, sulla sabbia. Con un ramoscello intinto in una pozzanghera di sangue inizia a scrivere sulle pagine d’un taccuino, ma dal buio emerge una presenza malvagia, la figura è quella di sua madre. Ma è soltanto un corpo senz’anima e i suoi occhi sono completamente vuoti. La donna gli salta addosso e le sue dita stringono con forza sovrumana il collo del figlio. Dopo una lotta disperata, Halpin Frayser sogna d’essere morto.
Il protagonista era nato a Nashville da una famiglia aristocratica, fra madre e figlio si era stabilito un profondo legame affettivo, edipico. Ormai adulto, Halpin Frayser partì per seguire alcuni affari in California, a San Francisco fu arruolato su una nave diretta in Oriente. Questa, poi, aveva fatto naufragio, e solo dopo sei anni Halpin Frayser fu salvato su un’isola del Pacifico e riportato a San Francisco. Aveva vissuto per qualche tempo a St. Helena, e nel corso di una battuta di caccia si era perso nel bosco, di notte, addormentandosi. Il mattino seguente una strana nube copriva il monte St. Helena. Due uomini, il vice-sceriffo di Napa e un investigatore, erano a caccia di un assassino latitante che aveva tagliato la gola alla moglie. Avevano scoperto che si nascondeva in un vecchio cimitero, erano pronti a arrestarlo. Trovarono invece il cadavere di uno sconosciuto, gli occhi sbarrati, dei segni sul collo. Un taccuino era accanto al corpo, fu facile identificarlo come Halpin Frayser.
Mi fermo qui perché vale davvero la pena leggere questo racconto nero di Bierce, che come nel mosaico di un grande giallo ricostruisce poi i vari eventi concatenati e arcani incastri svelandoci il suo disegno globale.
Note sull’autore: Ambrose Gwinnett Bierce nasce nel 1842 a Meigs County, nell'Ohio, scompare, in Messico nel 1914. Combatte volontario nella guerra di secessione, guadagnandosi sul campo i gradi di maggiore dell'esercito nordista. Nel 1866 si trasferisce in California, dove comincia a farsi notare come giornalista e come autore di racconti brevi. Poi soggiorna in Gran Bretagna fino al 1876, pubblicando tre volumi di racconti: Il gaudio del diavolo, Pepite e polvere scodellate dalle casseruole californiane (1872) e Ragnatele staccate da un cranio vuoto (1874), lavori che non gli offriranno grande fortuna. Rientrato in America, si stabilisce a San Francisco e raggiunge grande fama come giornalista e polemista, si avvicina alla politica. Passano diversi anni prima che produca i libri che lo hanno reso famoso come scrittore: Racconti di civili e borghesi (1891), Scarafaggi nell'ambra (1892) Possono accadere cose simili? (1893) Racconti fantastici (1899) Il vocabolario del cinico (1906), ripubblicato con il titolo Dizionario del diavolo nel 1911. Settantenne si reca in Messico per partecipare alla rivoluzione di Pancho Villa, e se ne perdono le tracce, proprio come un personaggio dei suoi racconti neri.
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