Festival di Cannes 2008. Luca Zingaretti e Monica Bellucci
In un’epoca rovesciata nella quale chi ha sbagliato diventa eroe e chi si è comportato da eroe si trasforma in un comune essere mortale, dimenticato da Dio e dal popolo, tutto è possibile.
Dati i tempi, può anche accadere che si prenda il gusto dell’orrido o dell’osceno, e che la banalità della storia diventi il luogo comune per la narrazione di fatti che forse sarebbe meglio lasciare nel dimenticatorio. Come è accaduto con la fanatica terrorista Maria Pasquinelli, o, come nel caso della fiction andata in onda ieri e l’altro ieri che ci ha allietato e rattristato durante la serata.
Del resto ci stiamo abituando a tutto, nonostante la bravura dei registi, la notorietà dei personaggi e forse anche in ragione del fatto che non avendo di meglio da vedere sul piccolo schermo gli italiani sono ormai assuefatti ad accontentarsi di tutto. Con la gioia degli accoliti di qualche tifoseria fanatica, abituata a far collocare o a picconare lapidi a futura memoria delle nuove generazioni. Ora pare che anche a Milano una lapide o un busto saranno scoperti alla memoria di Luisa Manfrini, o Manfredi, alias Ferida. Una donna che il controspionaggio italiano sospettava girasse attorno a certi esponenti dell’Ovra, la politizia segreta di Mussolini destinata a prevenire azioni contro il regime.
Nella fiction si narra di una coppia veramente normale: gli amanti Osvaldo Valenti e Luisa Ferida. Due personaggi portati alle stelle dal fascismo e dal grande lestofante del Minculpop del regime che fu Alessandro Pavolini con tutto il seguito dei potentati che decidevano le sorti del cinema e della cultura italiani. Colui che teneva le chiavi di San Pietro e decideva come un piccolo Goebbells , ministro della propaganda di Hitler, cosa doveva passare e cosa doveva morire sul nascere.
Fu così che nacque questa coppia fatale, seguendo le alterne vicende dei ministri della cultura popolare che predilegeva le transvolate di Italo Balbo, le opere di quell’altro amante del “buon gusto” quale fu Gabriele D’Annunzio, e non pochi altri esaltati o leccapiedi della nomenklatura del regime che vollero fare il bello e il cattivo tempo per le sorti di molti artisti veri o presunti che fossero.
Osvaldo Valenti e Luisa Ferida
Alla base di alcune importanti biografie dell’epoca c’erano tuttavia due elementi caratteristici e geneticamente connaturati con il potere: l’uso personale dello Stato, a cominciare dal capo del fascismo, e la corruzione dei costumi, fino all’uso sfrenato delle sostanze stupefacenti, di cui, per quanto ne sappiamo, i nazisti avviarono per primi lo spaccio e il consumo su scala nazionale. Molte stragi e molti crimini si commettevano sotto l’effetto delle droghe e molte imprese eroiche più che il coraggio personale avevano come fondamento l’assuefazione allucinata all’uso della morfina e della cocaina di cui sono pieni i documenti del tempo e persino i giornali. Il traffico della droga fu il veicolo di cui si servirono i nazisti per creare una sudditanza totale non solo degli ambienti paramilitari che gravitavano attorno alla repubblica di Salò, ma anche di quegli elementi che volevano mantenere ricattabili e disposti a tutto pur di averla vinta su ciò che rimaneva dell’Italia che si stava costruendo, con la lotta partigiana e con le nuove alleanze dei governi postbadogliani. Dal 25 luglio 1943 al 25 aprile 1945.
Il regista di "Sangue pazzo" Marco Tullio Giordana
La fiction che abbiamo seguito non ci ha regalato nulla di nuovo. Tranne il clichè di un amore disperato e impossibile. Una delle tante storie d’amore girate sugli scenari della guerra e delle sue violenze atroci. Al centro l’amore; alla periferia le vicende della lotta partigiana, la ragion di Stato di quest’ultima, con la sua freddezza, la sua difficoltà a capire. Nulla sulle vere ragioni dei grandi burattinai che manovrano uomini e cose, come se costoro, a cominciare dal capo del controspionaggio americano in Italia, James Jesus Angleton, la persona che aveva posto le condizioni per far salva la vita dello sventutrato Valenti.
A volerne la pena capitale, come il lettore potrà vedere nel documento che abbiamo pubblicato nel post “Valenti/Ferida: coppia fatale” c’era il comandante partigiano Fausto. Ma la richiesta di aver fatta salva la vita da parte dell’attore era arrivata sul tavolo dello SCI/Z, il controspionaggio di Angleton che aveva sede in via Sicilia, 59 a Roma, nella prima settimana di aprile 1945, appena due settimane prima della Liberazione di Milano. I partigiani e il Cnl, non si erano azzardati di decidere una questione così delicata. Conoscevano i soggetti, e più che essere divisi al loro interno sul fatto se dovessero processarli o meno, avevano demandato ogni loro decisione alla volontà di quella mente diabolica che era Angleton. Un personaggio oscuro che tutto sarebbe stato disposto a fare, persino i patti con il diavolo, pur di ottenere vantaggi a favore dei suoi piani infernali. Fu così che Angleton propose ai partigiani che gli avevano dato la patata calda di verificare sostanzialmente due punti:
1) se pur rimanendo tenente della Decima Mas l’attore era disposto a passare agli Usa ogni informazione che provenisse dal campo avversario, rimandendo in una sorta di “stay-behind mission from Germany”;
2) se passando dalla parte dei partigiani accettasse di infiltrarsi tra le linee nemiche informando gli alleati di ogni particolare in suo possesso.
Esecuzione di Pietro Koch
Che Valenti e Ferida non si siano resi conto di questo gioco, appare difficile, anche perchè la proposta dovette in qualche modo pervenire alla loro attenzione. E’ anche propabile che i partigiani li abbiano sottratti dalle grinfie dell’Intelligence Usa o inglese, tentando fino alla fine qualche mediazione. Ma tranne il tentativo di salvarsi la pelle non ci fu nei due attori ombra di antifascismo, la denigrazionedel capo del fascismo, o una volontaria consegna dei sue al fronte opposto. Valenti fu e rimase fino alla fine un ufficiale della Decima Mas, un amico di Borghese e un frequentatore di quel carnefice quale fu l’ispettore della polizia politica di Mussolini, Pietro Koch. Ecco è questo ciò che nuoce di più alla fiction di Giordana, una certa latente mistificazione; un certo modo di affermare e di negare, una certa morale patriottarda contro il re fuggitivo e contro l’armistizio dell’8 settembre da parte del principe nero. Nuoce la reale natura del male che, come sempre accade al comportamento degli italiani, vogliono salvare assieme ai sentimenti che lo stesso male produce, anche se autodistruttivo, anche se feroce.
Il precipitare degli eventi non consentì che un regolare tribunale militare potesse decidere con serenità di giudizio. Forse giocò contro Valenti e la Ferida il loro rapporto con la famigerata banda Koch, nota per le sue efferatezze e le torture di numerosi partigiani. Forse giocarono contro anche le sue frequentazioni con gli ambienti nazifascisti, dai quali Borghese era strettamente dipendente. Per il resto decisero gli eventi più grandi di lui, in quegli stessi giorni in cui veniva eseguita la pena di morte di Mussolini e di Claretta Petacci. Anche questo un altro mistero.
(Giuseppe Casarrubea)