10 milioni 938 mila telespettatori, pari al 45.93% di share, hanno seguito su Rai1 la prima serata del 64° Festival di Sanremo, in calo rispetto alla serata inaugurale dello scorso anno che fu seguita da una media di 12 milioni 969 mila telespettatori (48.20%). La prima parte del Festival di Sanremo 2014, iniziata alle 20.50, è stata comunque vista da 12 milioni 466 mila telespettatori (45.77%) mentre la seconda, iniziata alle 23.55, ha ottenuto 5 milioni 680 mila telespettatori (47.14%). Il picco di ascolto è stato di 16 milioni 48 mila alle 21.26, all’interno del monologo di Luciana Littizzetto, mentre quello di share del 55.36% alle 23.58 all’ingresso di Cat Stevens. Invece il Prefestival di Pif, dal titolo Sanremo&Sanromolo, ha interessato 8 milioni 557 mila telespettatori (29.16%).
Alessandra Comazzi, su La Stampa, racconta la prima serata del Festival, partita in salita tra le clamorose proteste di due operai senza stipendio che hanno minacciato di buttarsi dalla galleria stoppando il monologo sulla bellezza di Fazio:
La prima serata ha ufficialmente narrato che le canzoni in gara è meglio emarginarle, Fazio ha preferito fare altro e cantare personalmente, lui e la Casta. Troppa grazia. Il Festival racconta amori cuori sentimenti tradimenti e racconta l’Italia. Così, se ieri sul palco ci fosse stato Pippo Baudo, tutti avrebbero pensato che la protesta dei lavoratori campani, la minaccia di buttarsi giù dalla balconata, se l’era inventate lui. Perché intorno a Sanremo scorre il sangue. E Fazio? Aveva un problema, il convitato di pietra, lo spettro che si aggirava prima fuori dall’Ariston dicendo ogni male della Rai, e poi seduto in platea: Beppe Grillo. E se si alza, e se parla, e se arringa? Lui lo spettacolo lo sa fare, conosce tutti i trucchi. Glielo aveva chiesto anche Mollica «au balcon» durante il collegamento del Tg1, e il conduttore aveva risposto con serafico fatalismo, sottolineando come sia più difficile costruire che distruggere. Poi, a Festival appena cominciato, il sipario, guarda un po’, si inceppa. Urla dalla balconata. Déja vu baudesco. Due persone si vogliono buttare. Hanno già fatto tante proteste. Hanno portato una lettera. Datemi la lettera, la leggerò promesso. Ma intanto scendete, mettetevi in sicurezza. Comunque sia, Fazio è stato impeccabile: che si sia inventato tutto per disinnescare la mina vagante Grillo o che sia stato preso alla sprovvista, non si è nemmeno mosso dal centro della scena. Ha letto la lettera dei lavoratori («scusate, faccio fatica ma è scritta a mano», che drammaturgia), che parlava di diritto al lavoro, dignità, di tre persone che si erano già suicidate. E’ importante, il diritto al lavoro, dice Fazio, ma allora che si fa? «Noi siamo chiamati a far bene il nostro mestiere, aggiungere un segno costruttivo invece che rabbia e disperazione». Dopo la lettera, pubblicità, e «possiamo ricominciare». E di pubblicità, tra l’altro, ce n’è proprio tanta, il direttore di Raiuno Leone ha d’altronde detto che con la réclame se lo sono pagato tutto, ’sto Festival. A Pif, nel suo prologo carino «Sanremo & Sanromolo», il conduttore aveva dato il vaticinio sugli ascolti della prima serata: cifra alta. Poi lo scambio fuori onda tra Fazio sul palco e Grillo in platea. «Appena siamo in onda arrivo!», ha scherzato il leader M5s. «Ti ci metti pure tu? Ma ormai ti hanno superato», ha risposto il conduttore. Ecco. Così la narrazione ha riportato Fazio alla parola d’ordine del Festival di quest’anno, la bellezza. L’immagine che è diventata un simbolo, il treno in bilico, proprio lì a Andora, tra la montagna e il mare. «Davanti a questo treno si capisce qual è la sola vera grande opera che cambierebbe la nostra vita e quella dei nostri figli: aggiustare l’Italia, ripararla, dove la montagna frana, dove la terra cede. Migliaia di ferite che formano la trama della nostra sconfitta. Immaginiamo che l’insieme di ferite e riparazioni diventino la più utile e gigantesca grande opera che ci attende, una grande opera di cura, che ci farebbe sentire un po’ meno incapaci e un po’ più degni della bellezza del nostro paese. La bellezza non è un lusso, va tutelata». La bellezza degli artisti. Omaggio a Fabrizio De Andrè, Ligabue canta, benissimo, Crêuza de mä e torna sabato. Poi omaggio a Jannacci, col figlio Paolo. Littizzetto si esibisce affannata con la grande Carrà, un po’ di festa per i 60 anni della tv in Italia (anche con Tito Stagno), è scatenata, battuta pronta, altro che volgare. Lei e Fazio giocano alla coppia litigarella, Sandra e Raimondo. Per attendere l’arrivo di Laetitia Casta, lui si apparecchia da esistenzialista francese, «come Dorellik», e lei lo chiama «Scamarcio dei diseredati» e lui canta Ne me quitte pas e leiMeravigioso di Modugno, un bel coraggio, ma con quel sorriso, si sa. I brani in gara ogni tanto interrompono la narrazione. Sfacciati.
Per Stefania Carini di Europa Quotidiano nella prima serata si è respirata aria di vecchio varietà, il genere chiave con cui Fazio ha voluto scrivere questo Festival:
Il duetto Fazio-Casta cerca l’effetto Studio Uno ma non convince, troppo lungo, troppo imbarazzo. Meglio il finalone con Casta che canta Ma’ndo vai se la banana non ce l’hai. Certe cose vanno scritte meglio, più veloci ad arrivare al punto. Carrà è Carrà, al di là delle tremende ultime canzoni: riempie il palco, fa l’appello per i Marò, conduce l’intervista. Littizzetto travestita da Raffa è un bel gioco, e la coconduttrice rimane la carta migliore per portare avanti il Festival. Bilancio? Sanremo che cita il vecchio varietà deve sapere che questo è meccanismo temporale impeccabile. Ritmo ritmo ritmo, ci vuole ritmo. Ci vuole un dosaggio misurato degli interventi e delle canzoni. L’anno scorso pareva ci fosse più compiutezza. Vero: la leggerezza invocata da Fazio è stata mangiata dagli eventi. È un un festival composito, con tante cose, che cerca in parte ancora la sua identità e unità (la sua bellezza, direbbe Fazio). In attesa delle prossime serate, si spera senza incidenti.