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Sanremo. Toto Cutugno il coro moscovita e il contratto di Berlusconi con i suoi detrattori

Creato il 14 febbraio 2013 da Bernardrieux @pierrebarilli1

Cutugno Armata RossaForse perché era uno dei brani che più cantavo  nelle notti Erasmus a Parigi con gli amici italiani o forse perché ho anche io bisogno di rispolverare un sentimento pop-nazionalista, ma l’esibizione di Toto Cotugno è stato a mio giudizio il momento più intenso del Festival. Ma soprattutto è interessante il messaggio subliminale che celava, ancor meglio perché involontario. Perché? C’è forse un “italiano vero” più vero di Berlusconi? Ed è sublime oltre che subliminale accostarlo a un coro russo che cantava in italiano, ricambiato dal Toto moscovita che nelle notti di Mosca lo immaginiamo altrove anziché a passeggiare malinconico per le strade…Sarebbe stato epico uno sfondo con foto di Silvio e Vladimir, magari abbracciati su uno dei fantasmagorici lettoni di putiniana ordinanza. Neanche le femen avrebbero mai raggiunto tali livelli di trasgressione. La differenza fra Silvio e gli altri è che se fosse stato lui a cantare, sul palco non avrebbe invitato come spalla un coro militare russo, ma avrebbe convinto l’amico Putin a dare un permesso per l’occasione alle galeotte Pussy Riot. Lui poi, Silvio, ci tiene all’immaginario, ci tiene perché lo detiene. Ed è ormai una maledizione, anatema, una condanna al modo di Sisifo, per i radical chic, i miglioristi, i buonisti, i profeti dell’Italia comune. Il sasso che incombe sulle loro spalle, piegando la loro schiena è Berlusconi. Li immaginiamo a pensarlo anche mentre fottono.  E a eccitarsi pure. Ma non basta. Vogliono incarnarlo Berlusconi. Vogliono essere Silvio. Mimesi, come camaleonti assumerne il colore. Maurizio Crozza è l’unico comico che era riuscito a rendere brillante una noiosa campagna elettorale, ma ieri si è spezzato l’incanto. Peccato abbia prestato il proprio talento a un banale sketch. La sensazione è stata quella che si prova in piena notte quando presi dalla fame si cercano in cucina i resti della cena. È tutto scontato e avviluppato su se stesso. A volte le crisi servono per rigenerarsi, sono occasione per ripensarsi. Nel nostro caso pare conveniente rimescolare lo zibaldone del ventennio orgiastico e caotico, per ricavare una pozione che fermi il paese in un fotogramma ormai saturo il più a lungo possibile. Il vero contratto Berlusconi pare non averlo firmato con gli italiani, ma con i suoi detrattori. In equilibrio si sorreggono l’uno con gli altri. E non si ha la forza nemmeno più di dirlo. L’unica via di fuga sarebbe dovuta essere la musica, le canzoni, le parole. Ma poche gemme fra il già sentito o gli pseudo-ribelli. Fra tutte le canzoni solo quella frase incastrata fra le altre nel brano di Raphael Gualazzi risuona nella mia testa: “hai visto con i tuoi occhi e pianto con i miei”. Io la considero un possibile manifesto breve dell’attuale oltre l’originario senso melodrammatico e sentimentale che il suo autore le ha impresso. È la frase che rappresenta la consapevolezza di ascoltare profeti in ogni dove, che seppur coscienti del momento tragicomico che viviamo, si riparano sulle zattere del privilegio e ci osservano agitarci nelle acque mentre la tempesta imperversa. Non ci resta che ridere, altro che piangere. A cura di Guerino Nuccio Bovalino

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