Lo slogan pubblicitario della Regione
Più piccola della scritta in italiano, quella in sardo, “Ischintziddas dae su coro”, compare nella pubblicità istituzionale della Regione di promozione dei fuochi di Sant'Antonio, nella notte fra il 16 e il 17 gennaio. Vediamo il bicchiere mezzo pieno: è la prima volta che, almeno per quanto ricordi, la Regione usa anche il sardo nelle sue pubblicità. Vediamolo mezzo vuoto: la gerarchia delle lingue, in grande l'italiano, in piccolo il sardo, equivale alla folclorizzazione di quest'ultimo e contrasta con legge che sancisce l'uguale dignità delle lingue usate. Se a questo si aggiunge che nel comunicato dell'Assessorato del Turismo (10 gennaio) lo slogan diventa “Schintiddas dau su Coro” e che nello stesso sito dell'Assessorato “Ischintziddas” perde la “I” diventando “Schintziddas”, il bicchiere non solo è mezzo vuoto, ma si fa anche torbido. La lingua sarda non ha, per i responsabili delle due comunicazioni, una ortografia stabile, quella, per dire, che impedirebbe loro di scrivere “Quore” o, che so?, “Talia” invece di Italia. Ma, sciatterie a parte, questa campagna di promozione turistica di una tradizione popolare che affonda le sue origini in una lontana antichità ha sollevato molte polemiche fra i frequentatori dell'Internet, unico luogo mediatico, ormai, in cui si possono confrontare pareri e posizioni culturali.C'è in alcuni un ieratico sdegno per questa campagna turistica. In qualcuno si individua un sacro furore politico dettato dal fatto che, per sua stessa definizione, questa giunta di destra non può produrre alcunché di buono. Altri sono preoccupati dalla mercificazione dell'identità che l'iniziativa dell'assessore Crisponi comporterebbe. Forse sì, forse il rischio c'è: è quello che corrono i gruppi cosiddetti “folk” che davanti alle telecamere e sui palchi approntati per trasmissioni televisive improvvisano inedite giravolte e curiose figurazioni, che sono sì spettacolari ma che poco hanno a che fare con il ballo sardo. Ed è anche quello corso dai tenores e dei cantanti a chitarra che si piegano alle esigenze degli spettacoli che pretendono canti non più lunghi di una certa quantità di minuti.Cosicché, facendo dei fuochi di Sant'Antonio un'occasione di richiamo turistico, è possibile che i partecipanti al rito abbiano la tentazione di trasformarlo in uno spettacolo gradito ai turisti, anche a scapito della sacralità e di quel quidam identitario cui su fogu de Sant'Antoni risponde da moltissimi secoli. Il problema esiste, ma non credo si possa risolvere né creando una cintura sanitaria anti-turisti né impedendo che questa sia una occasione di crescita economica. A ben vedere, si ripropone lo stesso dilemma di cui spesso ci siamo occupati in questo blog su desiderabilità o rifiuto dell'utilizzo economico del nostro patrimonio archeologico. L'idea solo che ci possa essere sviluppo basato sugli elementi fondanti la nostra identità manda in bestia quanti pensano che la Sardegna debba essere una terra misteriosa e indecifrabile, abitata da buoni selvaggi, adusi a campare di altrui benevolenze in cambio della conservazione di un patrimonio culturale e ambientale che appartiene allo Stato e che essi sarebbero portati a distruggere, senza chi dica loro che cosa fare. Il perché abbiano questa idea non lo conosco anche se, avendo da giovane frequentato gli scritti di autori anticolonialisti, credo di poterlo immaginare.Sono a disposizione, invece, i loro argomenti: voler conoscere le vicende storiche e ancora peggio voler indagarle autonomamente significa indulgere in un sardo-centrismo che ha come risultato finale il razzismo e, in più, non crea lavoro, non risolve l'abbandono dei campi, la desertificazione dei centri urbani, il degrado dell'ambiente e neppure uno solo dei problemi sociali della Sardegna. Pensate che abbia inventato io queste baggianate per crearmi un avversario di comodo? Non è così, si tratta di citazioni autentiche.Magazine Informazione regionale
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