'Ne impastavamo un quintale a famiglia, sette tavole cotte nel forno del paese, per offrirlo a tutti quelli che venivano a San Marco per festeggiare sant'Antonio abate il 17 gennaio.' Raccontano così gli abitanti di San Marco di Norcia, antichissimo castello arroccato sopra la piana di santa Scolastica, nell'Umbria dei Monti Sibillini. Nonostante la tradizione non abbia più la consistenza numerica di un tempo, loro sono ancora lì, generosi, a distribuire il pane benedetto dal parroco nel giorno della festa del Santo più venerato del mondo rurale, principalmente come protettore degli animali.
Una bustina bianca, e dentro l'elemento primo dell'alimentazione, viene donata a ognuno degli ospiti in visita al paese. La forma del filone è particolare: nove pagnottelle sono unite tra loro a formare un reticolo che potrà essere tagliato facilmente e consumato con devozione nella speranza di scongiurare malattie e difficoltà varie sotto la protezione di sant'Antonio.
Le famiglie di San Marco continuano la tradizione seguendo gli insegnamenti e i gesti delle madri, delle nonne, dei bisnonni e quelli di chissà quanti avi. In altri paesi della zona, come ad Ancarano nella Valle del Campiano, filoni di pane venivano distribuiti la mattina di Pasqua ai poveri in virtù di un lascito testamentario oppure, nella media Valnerina, nel giorno dei morti, come settima porzione dell'arca dove il pane veniva preparato.
Nella piccola chiesa del castello don Antonio Diotallevi, parroco in pensione e - come dice lui- ormai libero professionista, anche quest'anno provvede a celebrare la Messa e a benedire le bestie. Comincia dalla stalla di Ottavio, aspergendo di acqua benedetta e preghiere i quaranta bovini di razza marchigiana selezionata, allevati negli splendidi pascoli che vanno da san Marco al Piano di Castelluccio.
Fuori c'è la neve che ha ricoperto ovunque i viottoli e la strada che sale per quattro chilometri dalla provinciale Norcia-Rieti: da questa si raggiungono i paesi di Nottorìa, Savelli, Castel santa Maria, Pescia, Sant'Andrea, Paganelli, Valcaldara, Ocricchio e Frascaro. Dentro le case, invece, c'è il calore delle stufe e della speciale accoglienza, caratteristica straordinaria di questi posti.
Sulla tavola apparecchiata compaiono i piatti gustosi della festa: l'odorosa zuppa di farro, le lenticchie di Castelluccio con le salsicce, il salame stagionato, i dolci del Carnevale appena iniziato, il vino rosso, l'acqua della fonte, un bicchierino di grappa e il buon caffè. Vincenzo, Augusta, Italo, Ottavio, Clorinda. Marco, Stefania e Nicola si adoperano per mettere i commensali a proprio agio, per raccontare il passato e discutere del futuro. Il tempo trascorre veloce e la nuova neve che sta cadendo richiama il tradizionale proverbio meteorologico: Sant'Antonio con la barba bianca o la neve o la fanga.
Infine ecco la foto di gruppo intorno al cippo di confine che è stato trasportato in paese qualche anno fa dal vicino Monte Utero: segnava il limite tra lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli e porta ancora incisa la data 1847 e l'emblema papale con le due chiavi incrociate.
Ce ne sono altri in montagna,fuori dalla porta e dalla cinta muraria del castello, nascosti tra i faggi e le mulattiere, a raccontare altre epoche di spartizione territoriale e di giurisdizione.