Santa muerte, nel Messico dei narcos la morte diventa santa

Creato il 02 febbraio 2012 da Vfabris @FabrizioLorusso

Reportage. Fabrizio Lorusso. «Oggi sei tra le braccia della vita, domani sarai nelle mie. Vivi la tua vita, ti aspetto. Saluti, La Morte». Cosa spinge milioni di persone in Messico a venerare la “Santa Muerte”? A Città del Messico ci sono 1.500 altari con un’immagine inquietante: lo scheletro, coperto da un saio francescano, impugna una falce in una mano e, nell’altra, sostiene il globo terracqueo. Ed è venerata da tutti quelli che fanno una vita pericolosa come i poliziotti o violenta come i narcos. L’anno scorso l’Arcivescovo di Città del Messico, Norberto Rivera, annunciò l’arrivo di un gruppo di esorcisti per combattere “l’idolatria pagana”. Ciononostante nella notte del 31 ottobre erano migliaia le persone riunite intorno all’altare per celebrarla. Leggi il resto qui sotto oppure: http://www.linkiesta.it/santa-muerte#ixzz1l6mrFMFv

Santa Muerte (Foto f.l.) - 29 gennaio 2012 – 13:20

CITTA’ DEL MESSICO – In Messico c’è un culto che sembra inarrestabile, il culto alla Santa Muerte. La sua figura è l’immagine medievale della morte scarnificata. Lo scheletro, coperto da un saio francescano, impugna a mo’ di scettro una falce in una mano e, nell’altra, sostiene il globo terracqueo su cui regna incontrastata la sua legge democratica e spietata. In tutti i mercati messicani si vendono statue, poster e amuleti che la rappresentano e troneggiano sugli altari, sui cruscotti delle auto e sulla pelle dei devoti che se la tatuano con orgoglio. La Santa Muerte è vestita con tutti i colori: dorata per chiedere favori economici, nera per la protezione totale o rossa per l’amore.

La Chiesa non la riconosce, quindi la gente la venera in casa, per le strade, in cappelle improvvisate, nei cortili o negli altari pubblici costruiti in suo onore lontano da occhi indiscreti, nelle periferie cittadine o lungo le autostrade. La Santa Muerte non ha cardinali né cattedrali e i tentativi di imporre liturgie e gerarchie sono risultati vani fino ad ora. Gli altari della capitale sono 1500 secondo la stampa locale che riporta un numero stimato di fedeli tra i 5 e i 10 milioni. Il culto è arrivato in Argentina, in tutto il Centro America, negli Stati Uniti e persino in Giappone, Spagna, Danimarca e in Italia. La devozione alla Santa cresce perché è libera, spontanea, destrutturata. Basta la fede di ciascuno e qualche offerta: sigarette, frutta, incenso, candele, birra, tequila. Negli eventi pubblici e privati a lei dedicati non si fanno discriminazioni, si accettano tutti, anche quelli che la Chiesa non riesce più a trattenere o, di fatto, rifiuta: travestiti, transessuali, ex galeotti, prostitute, drogati, alcolisti e tutti quelli che si sentono ai margini della società e della religione “ufficiale”.

Anche le persone “a rischio”, coloro che svolgono attività pericolose come i poliziotti, i tassisti, i commercianti e – possono rientrare nella categoria – i delinquenti della gran metropoli, si sentono accolti da questa devozione e chiedono protezione, lavoro, salute e, in certi casi, semplicemente una fine degna e non violenta. Quando la morte si fa presente nella società, ecco che la sua versione santificata riemerge dalla clandestinità in cui era stata relegata per decenni, forse per secoli. Proprio questo sta accadendo in Messico negli ultimi anni con la “guerra al narcotraffico” che ha provocato oltre 50mila morti e 16mila desaparecidos dal 2006. Il culto messicano alla Morte Santa risale al 1600 ed è stato tramandato dalle famiglie indigene e rurali del Messico profondo. Queste riciclavano le figure degli scheletri, importate dai conquistatori e dalle confraternite della “buona morte”, trasformandole in divinità.

In Italia la Parca domina le volte e gli ingressi di moltissimi ossari e di templi come la Chiesa della Morte a Molfetta e Sta Maria dell’Orazione e Morte a Roma, ma nessuno s’era mai sognato di farla santa. L’Inquisizione castigò severamente queste pratiche e bandì tutte le raffigurazioni della morte che la Chiesa stessa aveva portato in America sperando di evangelizzare gli indios. «La morte è democratica, perché in fin dei conti biondi, scuri, ricchi e poveri, tutti finiamo per diventare scheletri». È una frase di José Guadalupe Posada, l’incisore messicano che cent’anni fa plasmò l’iconografia della morte nelle sue figurine scheletriche, le famose Catrinas, che ritraggono sarcasticamente le dame della borghesia d’inizio novecento, l’epoca del dittatore Porfirio Díaz.

Dopo la sua cacciata e la Revolución nacque uno strano sincretismo religioso tra la Commemorazione dei defunti cattolica e alcune tradizioni indigene: il Día de muertos, tra l’uno e il due novembre, è oggi un “patrimonio immateriale dell’umanità” dell’Unesco e un’attrazione turistica. Le Catrinas di ceramica e i teschi di cioccolato s’usano come offerte per adornare gli altari e i cimiteri. Però questa è “una morte addomesticata dallo Stato e dalla Chiesa, le due grandi istituzioni che hanno retto le nostre vite dai tempi del conquistador Hernán Cortés, quando la spada arrivò con la croce”, commenta Alfonso Hernández, presidente dell’associazione dei cronisti messicani.

Alfonso gestisce da anni un centro di ricerca che valorizza le meraviglie del famigerato quartiere di Tepito, nel centro storico di Città del Messico. I luoghi comuni su Tepito sono spesso negativi: un ghetto, covo di delinquenti e contraffattori, si dice. Ma le sue espressioni culturali, l’artigianato, i balli afrocaraibici, i famosi pugili e gli artisti del barrio sono ormai parte integrante della cultura messicana. Il quartiere ha una patrona indiscussa: la chiamano con affetto Niña Blanca, Bambina Bianca, ma è sempre la Santa Muerte. «In náhuatl, lingua parlata dagli aztechi e, ancora oggi, da quasi 3 milioni di messicani, Tepito significa luogo in cui cominciò la schiavitù, dato che proprio qui fu catturato l’ultimo tlatoani, Cuauhtemoc, che era il sovrano azteco nel centro dell’attuale territorio messicano», racconta Hernández.

Durante i rosari succede spesso che i devoti contrattino i concheros, dei ballerini abbigliati come gli antichi aztechi che danzano al suono dei tamburi, o magari una banda di mariachi, tipici suonatori di chitarra e trombe, per ripagare alla Santa un favore ricevuto. Per compiacerla si fa questo ed altro. C’è chi percorre in ginocchio, pregando, con la sua statua tra le mani e il volto contrito, di isolati per arrivare sanguinando a toccare la sua immagine.

L’anno scorso l’Arcivescovo di Città del Messico, Norberto Rivera, annunciò l’arrivo di un gruppo di esorcisti per combattere “l’idolatria pagana” del nuovo millennio e riconquistare anime al cattolicesimo. Ciononostante nella notte del 31 ottobre erano migliaia le persone riunite intorno all’altare più importante del Messico, nel cuore di Tepito, per celebrarne il decennale: la Santa di un metro e 80 che lo domina è custodita da Donna Enriqueta, la guardiana che ha iniziato la pratica dei rosari di massa per la strada.

L’Ufficio Studi Esteri dell’esercito statunitense ha pubblicato una ricerca sulla Santa Muerte, Il culto alla morte dei boss mafiosi messicani, la Santa Patrona dei criminali e i reietti, che la considera la “Madonna dei narcos”, quindi un tassello importante per capire le logiche mafiose e per la sicurezza nazionale. Lo studio si basa su versioni giornalistiche del culto alla Niña Blanca secondo cui questa, dalla fine degli anni ‘90, è vista come la protettrice dei criminali in seguito al ritrovamento di alcune sue statue nelle abitazioni di noti sequestratori e trafficanti del Cartello del Golfo. Dunque la Santa è parte dell’immaginario legato al narcotraffico, insieme ai fucili cuerno de chivo AK-47 e ai corridos, un genere musicale simile alla mazurka con canzoni che celebrano le gesta dei narcos. D’altro canto è vero che la dama con la falce resta comunque seconda alla Madonna di Guadalupe, icona nazionale messicana, e a San Giuda Taddeo, santo delle cause disperate, tanto nelle preferenze dei narcos come in quelle della popolazione in generale. «Gli attacchi mediatici etichettano i devoti della Santa Muerte come delinquenti, mentre sono solo poveri o vulnerabili e – spiega Hernández – ormai anche la classe media e i politici la venerano».

In Messico il cattolicesimo ha perso terreno rispetto al protestantesimo e ai gruppi neopentecostali: i cattolici sono passati dal 98% della popolazione negli anni ‘50 all’83,9% nel 2010. È logico che a Roma qualcosa si cominci a muovere. Nel gennaio 2011 una nota di Radio Vaticana citava l’invito del portavoce dell’arcidiocesi di Città del Messico, Hugo Valdemar, «a distruggere tutte le immagini di Santa Muerte e a non temere nessuna vendetta perché il potere di Dio è più grande del male». Aggiungeva che il culto va abbandonato perché «ha radici superstiziose e soprattutto una connotazione diabolica» e i devoti «sono convinti che si tratti di un santo come tutti gli altri, quando invece non esiste neppure».

I seguaci della Santa non la pensano così. «Non odio il clero e credo in Dio, ma dopo tutti gli scandali che sono usciti, con che coraggio ci vengono a dire che siamo noi i diabolici?», inveisce Donna Enriqueta. Forse i cartelli affissi su case e negozi di Tepito ci mostrano la verità. «Oggi sei tra le braccia della vita, domani sarai nelle mie. Vivi la tua vita, ti aspetto. Saluti, La Morte». In effetti la morte è così sicura di sé che ci lascia tutta una vita di vantaggio. E in America è già Santa.

La sua pagina in italiano: http://lamericalatina.net/la-santa-muerte/

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