Anna Lombroso per il Simplicissimus
E’ la Santanché – accento grave o accento acuto? – la candidata delle larghe intese alla vicepresidenza della Camera, che sarà votata anche dai disubbidienti cronici e dai dissidenti professionisti. Ce lo comunica Civati: “#SANTANCHENO La Santanché si presenta oggi come candidata del Pd e del Pdl alla vicepresidenza della Camera. Fa piacere apprenderlo dai giornali, dopo l’ampia e approfondita discussione, che non c’è stata. E ricordate: se non votiamo la Santanché #potrebbecadereilgoverno. Ogni settimana ha la sua croce.”
Da sempre vorrei scendere dal carro dei vinti, da sempre non mi sento appagata di stare dalla parte della ragione con chi subisce solo torti, dei diritti con chi ne è privato. E da sempre provo una rabbiosa intolleranza nei confronti di chi invece in sosta vietata ci sta comodo, di chi va in direzione vietata ma con il panzer, di chi sceglie la militanza nella minoranza, con privilegi, attenzioni, visibilità, reddito da maggioranza, preferendo la clasa discutidora alla classe operaia, il mugugno alla responsabilità, l’aventino al no.
Eh si pare che tutto il Pd voterà la gallina cuneese, anche le donne, anche gli omosessuali dichiarati, anche quelli, pochi, che hanno creduto, illusi, di avere nel partito una sponda per contrastare il razzismo e la xenofobia, anche quelli, ancora meno, che pensano che il declino economico e sociale del Paese abbia origine anche nell’illegalità, nella de-moralizzazione, della privatizzazione della politica, delle istituzioni, della Costituzione.
Eh si, pare che lo chieda l’Europa di votare la Santanchè, e certo lo chiede Napolitano, lo chiede Letta, lo chiede lo stato di necessità, lo chiede il fantasma dell’ingovernabilità . E probabilmente lo impone la diffusione della cultura del ricatto che intride decisioni, obbligando all’accondiscendenza, al “o così o così”, costringendo alla scelta tra posto e cancro, salario o diritti, fattura o evasione, perfino politica o onestà. E quindi la Santanchè o la crisi.
Non c’è stato pensatore nella storia degli uomini, che non abbia collocato in testa ai requisiti irrinunciabili e alle virtù improrogabili del politico, del leader, del condottiero il coraggio. Ma certo non siamo in presenza né di nocchieri né di designati dal destino.
Ma sospetto che nell’acquiescenza, loro malgrado, dei parlamentari del Pd, che pensano di aver sconfinato nella spericolatezza ribelle votando Boldrini o Grasso, si nasconda qualcosa di più turpe e più infame, e che non è soltanto la pensosa codardia di non mettere alla prova la potenza del ricatto dei partner. Io ci vedo anche la voluttà di liberarsi del passato, il compiacimento di rinnegare radici e rappresentanza di interessi e diritti, l’ebbrezza di scaricarsi dell’onere di stare con gli sfigati, coi perdenti, coi derelitti, coi poveri, coi diversi, preferendo i siliconati, i gonfiati, i disinvolti, i billionaires, gli spregiudicati, i i disincantati, i garantiti grazie alla oculata manutenzione di privilegi e soprusi, mediante l’esercizio dell’inopportuno, fino all’illecito e all’illegale.
Il processo di mutazione del partito liquido ha liquefatto speranze e aspettative di bellezza, amore, solidarietà, armonia, spingendo verso il brutto, il finto, lo stonato. Ormai li hanno disegnati così, su misura per eleggere la loro candidata ideale.