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Santo il demonio

Da Ultimafila22

di Giacomo Pagone

Rumore di gambe che passano svelte davanti ai tavolini del bar. Rumore di pensieri che si sovrappongono. Dar da mangiare al gatto, la spesa, i compiti. Rumore di vite che scorrono veloci, sempre racchiuse nelle gabbie delle azioni quotidiane.

Riesci veramente a capire cosa è la vita solo quando ti fermi e osservi quella degli altri andare avanti, correndo verso una meta. E’ per questo che Santo può dire di sapere che cosa strana è la vita.

Lui sta seduto tutto il giorno ai tavolini di quel bar, del bar Remo, a fissare quelle gambe veloci andare da qualche parte. Intuisce quei pensieri, quando è sicuro di averli indovinati, poi, si concede anche un sorriso di soddisfazione.

Santo è come una fontana. Avete presente le fontane? Continuano a far scorrere costantemente l’acqua, sempre con la stessa intensità, niente può turbarle, se non la chiusura dell’erogazione. Tutto intorno alle fontane, però, scorre frenetica la vita quotidiana, le gambe si affrettano, i pensieri affollano le menti. Ecco, Santo è una fontana. Lui continua a vivere la sua vita, ma lo fa seduto ai tavolini del bar Remo. Intorno a lui la città è un formicaio in pieno fermento, nessuno può fermarsi, tutti vanno verso qualcosa.

Eppure anche Santo, a volte, va verso qualcosa. Verso il traguardo, per la precisione. Santo, infatti, è un pilota di auto da corsa. Non corre in Formula 1. No, troppo noiosa, dice, troppo sicura, pensa. Troppo inarrivabile, ammette. Santo partecipa a gare organizzate da privati e ricchi cittadini annoiati che hanno bisogno di scommettere e perdere i propri soldi per dare un senso alle proprie vite.

Santo corre perla Scuderia LaHabana, il cui sponsor principale è proprio il bar Remo, in cui passa tutti i giorni quando non corre. Nonostante sia il pilota più vecchio del circuito, colleziona ancora vittorie come fossero figurine. Con metà secolo lasciato alle spalle da una decina d’anni, Santo è il pilota più vecchio e più vincente della storia ventennale di quelle assurde gare.

Ad ogni partenza nessuno riesce credere ai propri occhi, con quel pazzo che sfreccia via come una scheggia. Hanno una teoria. Gli organizzatori delle gare pensano che, correndo in quel modo, e a quella età, in realtà, Santo cerchi di ammazzarsi. Non ci è mai riuscito. Anzi, ha vinto tutte le gare che ha corso!

Il soprannome gliel’aveva dato il suo più vecchio amico, forse l’unico vero amico. Remo, il proprietario del bar, il quale, dopo aver ascoltato la teoria degli organizzatori sul tentativo di suicidio che si ripeteva, vanamente, ad ogni corsa, aveva detto:

“Tutti andiamo da qualche parte, Santo forse cerca di ammazzarsi”

“Ma non ci riesce mai, e vince ogni gara!”

“Questo perché è un demonio!”

Da quel momento era diventato Santo il Demonio. Tutti i nuovi piloti lo guardavano, tranquillo, prima della gara. Tutti lo temevano.

Santo non parla mai se non con Remo, la sera, dopo la chiusura del bar. Parlano di tutto, della vita, della auto, delle donne. Remo, dietro il bancone, asciuga i bicchieri con uno straccio bianco. E’ sempre lui che inizia a parlare. Quando è sicuro che anche l’ultimo bicchiere è stato asciugato alla perfezione, passa lo straccio bianco sul bancone, si toglie il grembiule e va a sedersi accanto a Santo, sul tavolino fuori dal bar. Succede ogni sera.

“Cos’è che guardi tutto il giorno, Santo?”

“Le gambe delle persone. Non puoi capire come vanno veloci. Non si fermano un attimo.”

“”Andiamo tutti da qualche parte, sai…”

“Già”

“E tu? Tu dove è che vai?”

Santo sorride amaro, gioca con l’ultima goccia di vino nel bicchiere, quindi inclina il bicchiere e la manda giù in gola.

“Beh, a sentire quelli del circuito vado verso la morte, no?”

“Già. Parlami di queste gambe, perché ti interessano tanto?”

“Non lo so. Forse perché racchiudono dentro di esse l’essenza della vita di oggi: la fretta”

“Tu sei un poeta, Santo. Dovevi fare il poeta, non il pilota”

“Già”

“E cosa ti ha impedito di diventare poeta?”

“Un giorno te lo spiegherò, ma, nel frattempo, lasciami andare, mi scoppia la vescica”

Santo è così, un po’ poeta e un po’ uomo della strada. Chiunque non lo conosce bene lo trova fastidioso, maleducato. Sono in molti a non conoscerlo bene. Tutti. Tranne Remo.

Le conversazioni con Santo sono la parte più interessante della giornata di Remo. Una volta che il suo amico se ne va a casa, lui torna nel bar, passa di nuovo lo straccio bianco sul bancone, mette le sedie sui tavoli, spazza a terra, quindi, spegne le luci e abbassa la saracinesca. Torna a casa camminando stancamente. Non c’è nessuno, a casa, ad aprirgli la porta, e, alla fine, salta la cena e si addormenta davanti ad un vecchio film di indiani e cowboy.  Come ogni sera.

Domenica. Il giorno del Signore per alcuni. Il giorno delle partite del campionato di calcio per molti altri. Il giorno delle corse per Santo e Remo, Santo si presenta sempre al circuito alle undici e mezzo, anche se la corsa non inizia mai prima delle quattro. Stenti a riconoscerlo, con quella tuta bianca con la scritta rossa “Bar Remo” sulla schiena. E’ sempre pettinato e si fa sempre la barba, prima di ogni corsa. Anche questo ha alimentato, ancora di più, la teoria del suo appuntamento con la morte.

Davanti ai cancelli chiusi dell’autodromo c’è sempre Remo ad aspettarlo. Ogni volta ripetono la stessa scena, quasi una sorta di scaramanzia.

“E’ chiuso” dice Remo, vedendolo arrivare.

“Siamo in anticipo” aggiunge Santo.

Quando entrano nei box, l’atmosfera si fa pesante. La macchina è sempre quella, una Alfa Romeo 33 del 1992, nera con un numero uno bianco stampato sulle portiere. Santo non aveva voluto sentire ragioni, non avrebbe usato nessun’altra auto. Era quello il binomio perfetto, sosteneva.

Quel giorno il proprietario della ScuderiaLa Habanaentra tronfio nei box e si dirige verso di lui.

“Santo, demonio che non sei altro, oggi è il gran giorno. Sono tutti qui per te, per vedere la tua centesima vittoria. Fai vedere chi sei, ragazzo!”

Ragazzo! Lo chiama ancora ragazzo! E’ sempre lo stesso idiota, pensa Santo, ma ha ragione. Gli spalti sono più affollati del solito. Doveva essersi diffusa la voce che Santo il Demonio avrebbe vinto la sua centesima gara. Deve vincere. Anche lui, ormai, fa parte di quel circo. E’ la foca ammaestrata che tiene in equilibrio sul naso il pallone colorato. Non può tirarsi indietro. Darà loro uno spettacolo indimenticabile.

Prima di salire in macchina dice qualcosa a Remo e lui lo trascrive su un foglio di carta. Lo fa sempre, prima della gara. All’inizio, tutti pensavano fosse un testamento o le ultime volontà. Si tratta, semplicemente, della lista di canzoni che vuole ascoltare mentre corre. Erano inutili, aveva sempre detto, tutti quei consigli e gli aggiornamenti sulle altre macchine. Lui voleva ascoltare della musica. Lo aveva sempre fatto. Lo aiutava a lasciar vagare il cervello e a diventare un tutt’uno con la pista.

Sulla griglia di partenza i motori rombano forti. I piloti guardano quel rottame con il numero uno stampato sulla fiancata e  sperano di riuscire a vederlo anche dopo la prima curva.

Semafori rossi. I motori fremono, ruggiscono come leoni in gabbia. Semafori verdi. I piloti lasciano il freno, le auto schizzano sulla pista, come fossero lanciate da una fionda. Santo è in testa, come sempre. Ben presto l’Alfa nera con il numero uno stampato sulle portiere diventa irraggiungibile, vola sull’asfalto, davanti alle tribune. Il pubblico scatta in piedi, entusiasta. Le urla di gioia non arrivano, però, nell’abitacolo. Santo ha solo la musica nelle orecchie. Il suo cervello è volato via, come in ogni domenica di corsa. Adesso lui è la macchina, la strada, la velocità. Al primo giro è in testa, al secondo guadagna secondi sugli inseguitori, al terzo gli altri piloti si dimenticano di lui e si concentrano a gareggiare tra loro, umani.

Al ventiduesimo dei quaranta giri, Santo annuncia al box di rientrare per fare rifornimento. Vuol fare solo una sosta. Poi solo gara. Appena l’auto si ferma, gli si avvicina Remo.

“Vai forte, Santo! Gli altri sono indietro di molto!”

“Già”

“Cosa c’è che non va?”

“Niente, Remo, niente” il capo meccanico gli dice che può ripartire. Lui guarda il vecchio amico e dice:

“Stammi bene, vecchio mio”

Remo lo guarda in silenzio, senza capire. Poi capisce ma rimane in silenzio La cartelletta con i tempi gli cade dalle mani, mentre l’Alfa Romeo romba fuori dai box.

Santo continua a correre veloce come il vento. Le note delle sue canzoni preferite gli pervadono la testa, lo ubriacano di adrenalina e spingono sull’acceleratore. Dopo trenta giri le canzoni ricominciano dall’inizio. Non gli importa di ascoltare di nuovo le stesse canzoni. Al trentacinquesimo giro riprendono a cantare i Pink Floyd. Al trentanovesimo sempre i Pink Floyd intonano la sua preferita, “Shine On You Crazy Diamond”. Santo accelera, la sua auto è una freccia, mossa dalle note della band britannica.

E’ all’ultima curva, cento metri prima della sua centesima vittoria. Cento metri prima del traguardo. E’ una curva difficile, lo sa. Sarà un onore essere ricordato per questo.

Minuto 2.35 della canzone, inizia la parte più bella, l’assolo di chitarra elettrica. Santo preme sull’acceleratore. Ci siamo, la vede. La macchina sfreccia.

Minuto 3.05. L’esplosione di musica, la perfezione. La chitarra affiancata dagli altri strumenti. Santo sorride. Prende male la curva, lo fa di proposito. La macchina inizia a rotolare via dal circuito.

Sulla tribuna gli spettatori si alzano in piedi e tacciono. E’ riuscito nel suo intento. Per una volta è riuscito a fermare quelle gambe frenetiche che si muovono senza sosta. Nessuno respira.

“Dannazione, ce l’ha fatta. Quel demonio questa volta riesce ad ammazzarsi” urla il proprietario della ScuderiaLa Habana. Remoè lì. Assiste muto alla scena. Lo aveva capito, se l’aspettava. Le lacrime iniziano a solcargli il viso, poi decide. Si alza in piedi e corre, scavalca il muretto di protezione ed entra in pista, correndo come un matto verso la macchina numero uno che sta ancora capovolgendosi. Finirà contro le barriere, pensa. Ha ancora qualche secondo.

La prima volta che si capovolge l’auto, Sante sorride e pensa al novantanove. Novantanove vittorie, non cento. Sarebbe stato banale, troppo scontato. Quando l’auto si ribalta per la seconda volta Santo vede qualcuno correre sulla pista. Non ha dubbi. Remo, vecchio pazzo, pensa. Al terzo capovolgimento gli sembra di vedere la sua auto dall’alto. Come se non fosse dentro l’abitacolo.

L’auto finisce la sua folle corsa contro le barriere. Quando Santo viene estratto dall’auto Remo gli si fa incontro e lo guarda in silenzio. Santo gli dice qualcosa, poi spira. Il pubblico, sulle tribune, riprende vita. Le gambe riprendono a muoversi incessantemente.

Quella sera, al bar, Remo lucida bicchieri e bancone. Come ogni sera. Come se non fosse successo nulla. Vorrebbe piangere e maledire il suo amico, ma l’unica cosa che riesce a fare è ripensare alle ultime parole di Santo.

Ripresi i sensi, lo aveva riconosciuto e gli aveva detto:

“Ricordi che mi hai detto che avrei dovuto fare il poeta, anziché il pilota? Ora sono pronto per dirti perché non potevo fare il poeta. Semplice, non so scrivere!”

Remo finisce di lucidare il bancone, spegne le luci e sorride. 


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