A pochi passi dal Duomo, tra il Verziere e via laghetto, lontano dai rumori della vicina Via Larga c’è una silenziosa piazzetta lastricata di ciottoli di fiume sulla quale, oltre alla chiesa di S. Bernardino alle ossa, affaccia anche la chiesa di Santo Stefano “ad rotam sanguinis” costruita con l’ elegante marmo di Candoglia.
Una delle tante leggende che aleggiano nel luogo, un tempo si dice molto vicino ad un bosco sacro ai Celti, risale ai tempi del patrono meneghino S. Ambrogio: la tradizione vuole che sul sagrato della chiesa, un tempo circondata da un prato che ora non c’è più, si consumasse una delle più feroci battaglie tra ariani e cristiani, questi ultimi guidati proprio da Ambrogio. Durante la battaglia si racconta di un miracolo per il quale il sangue versato dai morti delle due fazioni improvvisamente si divise e quello dei cristiani si condensò fino a formare una grande ruota che rotolando si sarebbe appoggiata alla porta della chiesa di Santo Stefano.La piazza è stata teatro di un’ efferato delitto, circondato da un alone di mistero, proprio il giorno di Santo Stefano del lontano 1476, quando il duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, fu accoltellato a morte sul sagrato ad opera di un suo amico di vecchia data.
Ma andiamo con ordine.Il 26 dicembre di quell’anno risplendeva il sole nel cielo terso sopra la città meneghina ma, nonostante questo, non era sufficiente per scaldare l’aria di quel gelido inverno. A palazzo Ducale fervevano gli ultimi preparativi del Duca Galeazzo Maria Sforza che, di li a breve, accompagnato dalla sua scorta si sarebbe come di consueto recato ad assistere la celebrazione della Santa Messa nella Basilica.Arrivato nei pressi del luogo il duca venne avvicinato da un suo amico di vecchia data che, in segno di rispetto, fece il gesto di inchinarsi ma in luogo di omaggiarlo egli estrasse un pugnale e con mossa repentina colpì il duca all’addome. Prima che le guardie potessero rendersi conto di quello che stava accadendo, altri due loschi figuri piombarono sullo Sforza accasciato a terra finendolo con due fendenti alla gola per poi dileguarsi lasciando la scorta impotente a guardare il proprio padrone morire sul sagrato. Pare che il corpo fu portato notte tempo nel Duomo di Milano per l’ ultimo saluto e la sepoltura, ma il luogo non fu in realtà mai rivelato ed i resti mai trovati pertanto rimane aperto un dubbio di che fine abbia effettivamente fatto il potente duca meneghino.L’ arma del delitto però esiste e, contrariamente ad altri delitti, non giace dimenticata ed impolverata in qualche ameno archivio della questura, ma fa bella mostra di se in una teca della Pinacoteca Ambrosiana. Se vi recherete, dunque, a visitarla potrete vedere con i vostri occhi il pugnale usato da Andrea Lampugnani per togliere la vita dell’ amico duca Galeazzo Maria Sforza.
La chiesa racchiude dentro il campanile un ulteriore macabro segreto, si narra che da qualche parte venne murato vivo un monaco ed il suo fantasma vagherebbe tutt’ ora nella torre campanaria in cerca di pace ed in alcune notti, molti giurano di aver udito ancora le sue urla ad imperitura memoria della sua orrenda fine.Marco Boldini