Il medium è il messaggio. La mia generazione che per fortuna non è quella dei Renzi, è vissuta all’ombra di questa indicazione teorica di Marshall McLuan. Ho sempre avuto dei dubbi su questo, ma il “Servizio pubblico” di ieri sera me li ha confutati: la televisione è sempre la televisione che sia libera o dominata dalla politica, confezionata e distribuita da una sola emittente o sorretta da una galassia di soggetti e su diverse piattaforme, rimane sempre se stessa con la potenza e i limiti che le sono propri.
Forse in televisione è impossibile fare discorsi più approfonditi, anche quando immagini e parole possono essere immediatamente commentate in rete. Forse vige una specie di principio di indeterminazione per cui più serio è il discorso, minori sono gli ascolti e viceversa. Così ieri sera, mentre ci sta crollando il mondo addosso, dopo l’invocazione di Biagi, Montanelli e Monicelli, abbiamo avuto un’overdose di Lavitola in diretta, di escortine pudibonde, di ospiti di giro. Aveva cominciato bene Santoro invocando una rivoluzione civile, invece della resistenza passiva al berlusconismo. Aveva colto nel segno dicendo che se siamo stati colti di sorpresa da una nuova cellula temporalesca della crisi neoliberista è solo perché il mainstream dell’informazione è legata al potere: altrove le previsioni del tempo economico stavano dando l’allarme da un anno.
Ben detto, ma poi? Ci si sarebbe aspettato di vedere economisti l’un contro l’altro armati a discutere degli sciagurati e ridicoli contenuti di quella lettera all’Europa che le opposizioni e il probabile governo di emergenza sono fermamente decisi a realizzare. Magari sarebbe stato interessante approfondire davvero, come molti esperti cominciano a fare, che cos’è il default, quali sono i rischi e le opportunità di un fallimento controllato, parziale, concordato che è in qualche modo una possibile prospettiva di questo Paese troppo grande per fallire, ma anche troppo grande per essere salvato. E magari del lavoro e dell’evasione, del nero, del salario di disoccupazione. Del sistema Italia come direbbe Monteprezzemolo.
E invece abbiamo avuto un panorama sulla mefitica arena dei pagliacci che è il berlusconismo in disfacimento. Giornalisticamente niente da dire, ma insomma che si sia governati da ladri, paraninfi, incapaci e puttanieri lo sappiamo. Almeno questa verità, troppo sordida per non fare audience, ci è stata rivelata. Ma il resto? Vogliamo parlare degli studenti e di quel repellente fascista di Alemanno che li fa schedare? Vogliamo svelare perché i licenziamenti facili siano un toccasana per l’economia? Vogliamo dire che al marciume etico ed economico del Paese, si accompagna una ignobile fanghiglia di luoghi comuni e ricette demenziali ripetute come se fosse una messa cantata?
Oppure dobbiamo riconoscere che la libertà dalla Rai o da un’altra singola emittente è comunque sempre condizionata dal potere oligarchico che si è radicato in questo Paese, per cui è meglio non arrivare al fondo delle cose. Ormai mettere a nudo l’imperatore non serve più niente: occorre denudare il sistema di potere che lo ha sorretto e che è invece ben deciso a non mollare la presa. Bisogna togliere le mutandine televisive ai nuovi Berlusconi in pectore e non lasciare che sia un ex calciatore a farlo dopo che miriadi di raffinati commentatori avevano tentato di mettere una foglia di fico politichese a una verità lampante.
Forse non si avrebbe abbastanza audience, non quanta ne serve per negare di essere un guru, forse non parlare di Lavitola, ma dei sistemi di welfare che ci sono in Europa darebbe troppo fastidio, forse lasciar perdere gli scandali per occuparsi della scandalosa normalità di questa Italia, non pagherebbe. Per questo mi convinco che non solo il medium è il messaggio, ma purtroppo anche il Paese è il messaggio che non vuole sentire.