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Santuari urbani in Magna Grecia

Creato il 29 agosto 2011 da Leucosia

santuari urbani in Magna Grecia- il casi di Metaponto e Poseidonia./2

2. I santuari urbani di Poseidonia.

-   Introduzione.

-   L’impianto urbano.

-   Il santuario urbano meridionale. La Basilica. Il Tempio di Nettuno.

-   Storia degli scavi.

-   Le testimonianze dei culti praticati nel santuario meridionale. Culti a partecipazione maschile. Culti a partecipazione mista ma con prevalenza femminile.

-   Il culto del centauro Chirone.

-   Altre divinità.

-   Il santuario urbano settentrionale. Il tempio di Cerere.

 -   I culti praticati all’interno del santuario settentrionale.

Introduzione.

Fondata verso la fine del VII secolo a.C. da coloni greci di Sibari, nella piana del fiume Sele, tra le propaggini occidentali dei Monti Alburni ed il mare, la città di Poseidonia è oggi meglio conosciuta col nome di Paestum[1].

La ricerca archeologica ha permesso di ancorare cronologicamente e di dipanare nel tempo le vicende   sintetizzate nelle esigue fonti scritte. I dati in nostro possesso, sia dell’abitato che delle necropoli, portano a fissare la fondazione[2] della città greca intorno al 600 a.C. , e il periodo di maggiore fioritura tra la metà del VI e la metà del V a.C. , quando vennero costruiti i grandi templi e gli edifici pubblici dell’agorà [3].

Il cambiamento del rituale funerario, intorno alla fine del V costituisce un’importante testimonianza per stabilire il momento in cui i Lucani prendono il sopravvento politico e si impossessano della città. la quale prenderà il nome di Paestum, come è documentato dalle monete con l’iscrizione in lingua osca.

La data della fondazione della colonia latina può essere fissata al 273 a.C. , grazie ad un passo di Livio e ad una notizia di Velleio Patercolo, da cui si ricava anche il nome del console Claudio Canina, che si occupò della deduzione mentre Fabio Cursore curava contemporaneamente quella di Cosa[4].

La sua vita continuò senza eventi particolarmente significativi fino agli inizi del IV d.C. , allorché la decadenza dell’impero romano trascinò anche Paestum in un declino lento, ma inesorabile: gli abitanti si ritirarono nella parte più alta della città, intorno al Tempio cosiddetto di Cerere, trasformato in chiesa cristiana[5].

 

L’impianto urbano.

A Poseidonia, fin dalla fondazione, una larga fascia di territorio fu risparmiata e destinata ad uso pubblico, per circa 1 km da nord a sud e 300 m circa da est ad ovest.

L’area urbana, protetta da un poderoso circuito murario[6], il cui perimetro si estende per quasi 5 km – conferendo alla città una forma grosso modo trapezoidale -  fu divisa in grandi zone funzionali: tutta l’area centrale venne occupata dall’agorà – lo spazio politico per eccellenza di una città greca – mentre le estremità della zona destinata ad uso pubblico vennero riservate ai santuari: a sud fu edificato il santuario urbano meridionale, mentre a nord l’Athenaion (cioè il santuario urbano settentrionale). Alle prime due generazioni di vita della città si può riferire ben poco: a parte le attestazioni della ceramica e dai materiali votivi più antichi diffusi nelle aree sacre, non si conoscono realizzazioni monumentali: a Poseidonia vi è uno scarto di due generazioni tra l’epoca di fondazione della città e quella in cui si impostano i grandi programmi urbanistici ed architettonici che interessano l’area pubblica. Il primo atto di questo programma sembra essere la costruzione dell’area sacra a sud del più antico dei templi in pietra, l’enneastilo dedicato ad Hera.

 

Il santuario urbano meridionale.

Nel temenos del santuario meridionale, furono eretti il più antico e il più recente dei tre templi di Poseidonia: la Basilica ed il Tempio di Nettuno[7].

La “Basilica”: si tratta del più meridionale dei templi, risalente al terzo venticinquennio del VI a.C.

.  La peristasi, che non è strutturalmente legata alla cella, presenta nove colonne sulla fronte e diciotto sui lati lunghi[8]. Il progetto iniziale dell’edificio sacro prevedeva un opistodomo al posto dell’adyton, che invece troviamo nella realizzazione finale. All’interno la cella è divisa da una fila centrale di colonne, le quali presentano un maggiore interasse tra la penultima e l’ultima. Prima dell’adyton la parete presenta un pilastro sporgente: si tratta di un particolare significativo, probabilmente da mettere in relazione con l’originaria destinazione del tempio al culto di due divinità, confermato anche dal progetto tecnico della carpenteria del tetto, che non obbligava il costruttore a creare una fila centrale di colonne per reggere il trave maestro.

Il “Tempio di Nettuno”: costruito in un calcare, intorno alla metà del V secolo a.C.,  il tempio poggia su un basamento di tre gradini, dal quale si eleva una peristasi di ordine dorico con sei colonne sulla fronte e quattordici sui lati lunghi[9]. Queste ultime sorreggono un architrave sopra il quale si trova il fregio, composto di triglifi e metope non decorate. Anche il frontone era privo di decorazione plastica. La cella, con pronao in antis e opistodomo, è divisa in tre navate da due file di colonne in doppio ordine[10].

Oltre ai due templi maggiori ancora in piedi, il santuario presentava altri templi, naiskoi, thesauroi ed installazioni sacre di ogni genere[11]: la divinità principalmente venerata è Hera ma ,come vedremo, la dea è tutt’altro che sola nel santuario.

 

Storia degli scavi.

L’esplorazione del santuario meridionale iniziò nel 1907 con V. Spinazzola (in precedenza ci furono occasionali recuperi nel corso dell’800): non si trattò di uno scavo stratigrafico, ma venne sgomberato l’interro situato intorno alla “Basilica” e scoperto l’altare. L’area dove risultò una maggiore concentrazione di reperti fu quella situata a circa 25 m. ad est dell’altare della “Basilica”, distante circa 50 m. dal tempio.

In un terreno rimescolato furono recuperati numerosi oggetti[12], tra i quali il celebre cippo in arenaria con l’iscrizione di Chirone.

Nel 1947 riprende l’esplorazione e dura fino al 1953: la ricerca è condotta dal Sestieri (si tratta in realtà di sterri veri e propri senza alcun dato).

Nel ’47 si lavorò intorno agli altari del tempio di Nettuno, viene individuato il grande altare di V (conservato solo nelle due assise di fondazione).

L’altro altare, più piccolo e di impianto romano[13], restituì i resti di un deposito votivo di età repubblicana: tra i reperti, gambe e piedi fittili e resti ossei di animali. Questo era parzialmente sovrapposto ad una stipe votiva più antica:  un lungo cassone di pietra che lastre calcaree poste di coltello dividevano in scomparti. Nella stipe si trovarono 80 frammenti fittili e alcuni braccialetti di bronzo. È possibile che lo svuotamento e la dispersione della stipe fossero dovuti ai coloni latini.

Una seconda stipe (a 5 m più a Nord), subì lo stesso trattamento e fu trasformata in basamento per statue. Anche i tre bothroi a est dell’altare di età romana furono svuotati (in uno dei quali vi erano materiale fittile e ossa).

In età romana il santuario fu profondamente rimaneggiato: oltre a un generale abbassamento del livello dei suoli,  ciò è confermato dagli scavi a nord del Tempio di Nettuno, dove furono scoperti i cosiddetti “loculi”[14].  Ritenuti dal Sestieri stipi votive pertinenti al tempio di Nettuno, in realtà il materiale votivo in essi contenuto è stato raccolto in età romana: si tratta quindi di una serie di depositi chiusi prima dell’eruzione del 79 d.C.[15] dove erano stati trasportati e custoditi oggetti votivi eterogenei[16] dedicati nel santuario in vari punti dell’area sacra e perfino in varie epoche.

I materiali ritrovati nei loculi non sono l’unico caso di oggetti già asportati in antico all’interno del santuario meridionale: ciò è testimoniato dal ritrovamento effettuato nel tempio n.14 del Sestieri. In questo edificio sacro dall’impianto ellenistico[17], ma restaurato dopo il 79 d.C. , erano stati raccolti oltre a un disco d’argento con dedica ad Hera, alcuni oggetti preziosi votati nel santuario : corone d’argento, collane d’oro, avori, bronzetti e fibule.

Dagli anni ’50 non si è più scavato, a parte l’estremità nord adiacente il foro, area in parte da questo obliterata.

Nel 1979 però uno scavo condotto a 25 m a sud est dell’altare della “Basilica” consentì il ritrovamento di una fossa semicircolare, scavata nel banco roccioso, nella quale furono scoperti numerosi resti di operazioni sacrificali[18]: si tratta dell’unico livello intatto finora indagato relativo al funzionamento in epoca tardo-arcaica di questo settore (zona sud-orientale del santuario).

Riassumendo, da tutte le notizie relative agli scavi condotti si evince che: in età lucana e soprattutto romana (nel corso del I a.C.) il santuario meridionale subì profondi rimaneggiamenti. I suoli furono livellati, le stipi svuotate ed i materiali dispersi o custoditi in altra maniera.

 

santuari urbani in Magna Grecia- il casi di Metaponto e Poseidonia./2

Le testimonianze dei  culti praticati nel santuario meridionale.

Da tutte le testimonianze recuperate è innegabile che il culto di Hera sia stato preponderante all’interno del santuario meridionale, però nel corso del tempo è stato comunemente accettata l’ipotesi che il santuario urbano ospitasse esclusivamente il suo culto e che a questa divinità fossero destinati tutti gli edifici sacri in esso presenti, malgrado la palese incongruenza di una tale organizzazione spaziale e cultuale, che non trova riscontro in nessuno dei santuari greci conosciuti[19].

La presenza di Hera venne infatti enfatizzata in un primo tempo dagli scavi condotti alla foce del Sele, poi dalle ricerche nel centro della città antica.

Le ricerche al santuario sulla foce del Sele[20] fecero riconoscere l’epiclesi di Argiva, anche perché le immagini della dea in trono rimandavano all’eidolon dell’heraion di Argo. Sempre all’Heraion di Argo furono ricondotti altri aspetti della dea, da Antheia[21] ad Eileithyia: ne risultava un quadro di una divinità essenzialmente legata alla feracità dei campi e quindi alla fecondità femminile.

La ripresa nel dopoguerra dell’esplorazione del santuario urbano meridionale, fece scoprire anche l’aspetto guerriero della dea pestana: una dedica su un disco d’argento suggerì il nome di Hoplosmia[22] . I rinvenimenti successivi, dai numerosi cocci col nome della dea ad altre terrecotte, oltre agli oggetti della foce del Sele, permisero al Sestieri[23] di ricostruire una figura divina polivalente che riassumeva in sé tutte le funzioni relative alla fecondità, capace inoltre di attrarre a sé ogni altra dea che fosse in un modo o nell’altro riconducibile alle nozze, al parto, alla fecondità dei campi [24].

Il problema è innanzitutto archeologico, poiché le testimonianze su Hera furono ritrovate su tutta l’estensione del grande santuario urbano meridionale e questo, unito al fatto che erano molto numerose, permise di ipotizzare che tutta l’area fosse a lei dedicata.

Ma, a parte il fatto che non tutti i culti lasciano uguale traccia a livello di ex voto ed elementi idonei alla loro individuazione, a parte il fatto che nel santuario meridionale è stata riconosciuta la presenza anche di altri culti  – ad esempio quello del centauro Chirone -  occorre tenere ben presente la rilettura proposta da M. Cipriani[25] sulle circostanze relative al rinvenimento dei materiali durante lo scavo degli anni ’50.

   Indubbiamente Hera riveste a Poseidonia un ruolo polivalente, individuato grazie ai materiali, anche se avulsi dal loro contesto originario.

Se analizziamo l’edificio a lei dedicato, la cosiddetta Basilica, la sua caratteristica di tempio doppio[26] rifletterebbe l’originario carattere duplice della dea di Poseidonia, Hoplosmia e Kourotrophos. Se l’identificazione dell’enneastilo con l’Heraion sembra la più plausibile, lo spazio sacro della dea definito dal tempio e dal suo altare, va ad occupare la porzione più meridionale del santuario, al confine con il lato sud delle mura, al limite naturale della città (segnato dal corso del Capodifiume). Questa collocazione presso uno dei confini dello spazio urbano ben si accorda con il ruolo di tutrice dei confini ad Hera assegnato.

1)   Culti a partecipazione maschile .

Il reperto che rivela il carattere di tutelatrice delle attività militari maschili è il disco d’argento, con l’iscrizione “τας  hέρας  hιαρόν  Ғρόνφι τοξαμιν” (= Sacro di Hera, fortifica a noi gli archi). Si tratta di una dedica collettiva, da parte di un gruppo di uomini (oppure di tutti i cittadini data l’importanza dell’oggetto), i quali invocano la dea come protettrice delle armi [27]. Va inoltre sottolineata l’arcaicità di questo tratto della divinità, che ha sotto la sua protezione il valore nelle armi. A questo aspetto sono da ricondurre alcune statuette fittili di età arcaica, raffiguranti una divinità femminile[28]:  la dea è raffigurata in prospetto pieno,  con alto polos svasato e busto piatto, terminante con un peduncolo; il braccio destro è piagato e alzato, nell’atto di stringere la lancia, quello sinistro doveva reggere lo scudo. È l’immagine della dea invocata nell’iscrizione presente sullo scudo d’argento, oggetto di culto pertinente a quell’ambiente peloponnesiaco dal quale hanno tratto la loro origine molti dei culti presenti nelle colonie achee dell’Italia meridionale.

Vi sono altri reperti che riconducono al mondo delle armi tutelato da Hera: le punte di freccia in bronzo di età arcaica, le armi di dimensioni funzionali o miniaturizzate, le ghiande missili, gli scudi in terracotta: si tratta di votivi presenti anche in altri Heraia, da Perachora alla foce del Sele, e sono la prova di una religiosità con forti caratteristiche militari e virili collegata alla dea.

A questo inquadramento sembra appartenere anche la tipologia dei votivi fittili datati alla metà del VI a.C., raffiguranti la dea in trono con un piccolo cavallo stretto al petto: si è ritenuto che la terracotta rappresentasse Hera Hippia, anche se recentemente di tali reperti è stata data un’interpretazione contrastante (in cui si esclude che l’animale rappresentato sia un cavallo).

Tuttavia l’ipotesi più plausibile è proprio quella dell’identificazione con Hera Hippia: l’attributo del cavallo ne sottolinea la qualità regale e fa inoltre pensare ad una venerazione di tipo maschile. Il cavallo infatti oltre ad un’idea di potenza, può anche suggerire la presenza di un culto di uomini a cavallo, come avveniva per la cerimonia dell’Aspis. Bisogna in ogni caso sottolineare quanto sia stretto il legame col mondo peloponnesiaco di questo aspetto cultuale – in particolare con Argo, Tebe, Perachora e Olimpia, dove la dea è detta anche Hippia.

2)   Culti  a partecipazione mista ma con prevalenza  femminile.

Si tratta dei culti centrati sulla fecondità, nei quali Hera assume il ruolo di tutelatrice del matrimonio e di tutti i momenti ad esso successivi. Al matrimonio inteso come modello mitico e rituale, alludono le statuette in terracotta, derivate da modelli di V a.C. in cui sono rappresentati Hera e Zeus seduti su un unico trono[29].  Sono appunto Hera Teleia e Zeus Teleios, la coppia che protegge l’unione coniugale[30]. Il travaglio ed il parto invece sono tutelati dal doppio di Hera, Eileithya (IV a.C.) a cui fanno riferimento le chiavi votive in ferro. Ma Hera è anche rappresentata come kourotrophos, a partire dal V a.C., cioè allattante  col bambino[31] in braccio e seduta in trono. Altri reperti ritrovati all’interno del santuario meridionale e ricondotti al culto di Hera ed in particolare alla sfera della fecondità sono le cosiddette “donne-fiore”: si tratta di bruciaprofumi in argilla, dove si fondono elementi vegetali e antropomorfi [32]. L’elemento floreale, il giglio, è appunto simbolo di feracità ed è stato accostato alla fecondità: si è parlato a questo proposito di Hera Antheia “Fiorita”. Il simbolismo gioca un ruolo non secondario nello statuto della divina sposa, tanto che il talamo nuziale dove si unisce a Zeus è formato da un prato verde e punteggiato di fiori; Pausania racconta di aver visto un “letto di Hera” nel santuario della dea ad Argo e sappiamo che nella stessa città le era tributato un culto particolare, imperniato su un rituale di cui erano protagoniste alcune giovani ragazze giunte in età da marito, denominate anthesphoroi  “portatrici di fiori”.  D’altra parte però questo genere di  bruciaprofumi sono stati ritrovati in tutti i santuari pestani. Sono prodotti anche dei busti maschili con teste sileniche, culminanti in un fiore (oggetti ovviamente non riconducibili al culto di Hera). Resta da approfondire il valore simbolico di questa classe di materiali.

Mediante l’analisi degli ex voto pertinenti al culto di Hera possiamo affermare che la dea è la divinità poliade (raffigurata in trono è l’ex-voto più ricorrente), che sovrintende i passaggi di status femminile e maschile (armi/parto); con Zeus custodisce le giuste nozze, protegge e alleva i figli, di conseguenza la cittadinanza intesa come polis. I rituali sin qui descritti riconducono quindi al culto di Hera Argiva. La sua stessa immagine di culto (a partire dal primo quarto del V a.C.) la raffigura con patera e melograno in trono, e corrisponde esattamente alla descrizione fatta da Pausania del simulacro della dea, creato da  Policleto per il santuario di Argo (Paus. II,17,4).

In età romana, Hera viene riguadagnata al pantheon locale latino, come Iuno Regina, pur se marginalizzato nel vasto contesto del santuario, poiché una maggiore centralità e religiosità assumono invece Ercole e Apollo.

 

Il culto del centauro Chirone.

Il culto del centauro Chirone[33] è  attestato da un’iscrizione su un cippo di arenaria databile alla prima metà del VI a.C. : Χίορōνος .

La lettura esatta dell’epigrafe è stata data dalla Guarducci[34], a quale ha ritenuto che si trattasse di un horos, posto al limite di un recinto sacro. Il contesto di rinvenimento:  proviene dal primo scavo ufficiale eseguito a Paestum, quello del 1907 ad opera di Spinazzola[35].  Bisogna inoltre sottolineare che il materiale utilizzato per la loro realizzazione è l’arenaria, pietra non frequente a Paestum – dove in genere è sfruttato il calcare locale -, quindi si tratta di una presenza intenzionale.  Il cippo potrebbe non solo essere pertinente da un horos, limite preciso di un recinto realmente esistente, ma anche essere inteso come tetragonos lithos, un piccolo monumento all’interno del santuario maggiore. Una dedica a Chirone lontana dal luogo di culto è del resto possibile[36].

Sappiamo dal mito, a partire da Omero,  che Chirone è il centauro sapiente, pedagogo di Achille. In realtà è una figura dai contorni più complessi: c’è un connubio tra natura umana e ferina che si addice solo ad una creatura sovrumana.

In Plutarco[37] è riportata la notizia che nella penisola di Magnesia venivano offerte al centauro – il primo che aveva curato gli uomini con radici -  da parte degli abitanti della zona, delle primizie. In questo episodio, narrato dal Plutarco risulta chiara la sfera originaria del dio, che mette al servizio degli esseri umani le forze della natura, assumendo, tramite queste ultime, anche il ruolo di guaritore.

Il legame con la natura, inoltre, ben si concilia con le sembianze animalesche del dio e con la localizzazione in grotta del suo culto, quando sopravvive in epoca storica [38].

Sono le forze della vegetazione che, quando usate a beneficio dell’umanità, determinano la funzione di guaritore; il valore di Chirone come sapiente – e quindi pedagogo a partire dalla tradizione omerica – è connesso alla sua conoscenza ed al controllo della natura.

Nella maggior parte delle attestazioni superstiti di Chirone, il centauro è associato ad un dio maggiore, come Zeus o Apollo[39].  L’accostamento con Zeus, signore della pioggia, è perfettamente comprensibile per una divinità della vegetazione, così come l’accostamento con Apollo, che nei documenti rimastici pare più recente, è consono alla natura di dio guaritore.

Secondo Ardovino[40], il culto urbano di Chirone, per il quale non c’è il più piccolo indizio per un collegamento con Apollo, fa presumere una sua vita all’ombra di Zeus, cui tenderebbe a ricollegarsi anche per il suo aspetto fortemente arcaico.

Riguardo all’anomalia del luogo in cui il culto è praticato – non vi è all’interno del santuario urbano meridionale alcuna grotta o anfratto – è possibile che il culto si svolga a molti chilometri lontano dalla città, sui rilievi collinari dove non mancano le grotte, e che venga solo ricorda nel santuario mediante il cippo.

Di questa figura divina arcaica a Paestum nel IV a.C. si sono ormai perse le tracce[41].

Quello dedicato a Chirone non è l’unico cippo presente nel santuario meridionale.

Tra il primo ed il secondo altare del tempio di Nettuno furono rinvenute delle pietre confitte a terra a guisa di stele, definite come i cippi che segnavano il confine orientale del santuario in età romana.

È del tutto verosimile che siano argoi lithoi simili a quelli trovati nello scavo di Spinazzola, presso l’altare della Basilica.

Un altro cippo è stato individuato davanti ad un edificio noto come “Orologio ad acqua” ( si tratta di una sala completamente aperta sul lato ovest, oggi interpretata in vari modi, forse una schola medica ): questo cippo fu obliterato e protetto da una specie di cista litica ad opera dei Lucani nel III a.C.

Quindi tutto un settore del santuario era caratterizzato in età arcaica dalla presenza di questi cippi.

Questo tipo di lettura ha rafforzato l’ipotesi che nell’area ad oriente dei templi dorici fosse praticato un culto dalla valenza salutifera, un culto connesso ad Apollo hiatros[42]: vi sono anche delle statue riconducibili al dio, tra le quali quella oggi custodita al Louvre.

A quest’area dalla connotazione risanatrice è riferibile anche una sorgente, oggi prosciugata che doveva alimentare gli apprestamenti arcaici del cosiddetto Orologio ad acqua[43] , tramite una struttura oggi non più evidente[44]. Questa valenza salutifera è recepita e rispettata dai Lucani: continua il culto di Apollo, anche con i Romani.

Altre divinità.

Attestazioni della venerazione di altre divinità presenti nel santuario meridionale rimandano al culto di Zeus: tra i reperti degni di nota, bisogna ricordare la placchetta d’argento  – oggi perduta – con dedica appunto a Zeus Xenios[45] e la statua di culto[46], purtroppo non attribuibile ad alcun edificio[47]. Si attesta anche il culto di Demetra e Kore, mentre il culto di Eracle[48] in età lucana è testimoniato dalla presenza di Ercolini italici e da piccole clave in bronzo, mentre almeno nel III a.C. viene venerata anche Magna Mater[49] .

Il santuario urbano settentrionale.

Limitata a sud dalla plateia (arteria stradale di grandi dimensioni) che procede in senso est/ovest e che fungeva da separazione con l’agora, l’area santuariale era delimitata sul lato occidentale dalla plateia in senso nord/sud, oggi non più visibile; ignoti sono i limiti settentrionale ed orientale. L’area fu occupata sin dalla prima generazione di coloni da un tempietto arcaico forse il primo Athenaion poseidoniate  posto a sud dell’esastilo tardoarcaico i cui resti sono ancora visibili e cui appartengono le lastre fittili policrome contrassegnate da lettere in alfabeto acheo pertinenti alla cornice di gronda[50]. I materiali di questa fase più antica sono per lo più pissidi e kotylai d’importazione e derivazione corinzia, come pure le terrecotte con divinità con polos.

Il Tempio di Cerere: l’edificio sacro è situato su una collinetta che domina l’agorà verso Sud; misura 14,54×32,88 m e ha una peristasi di 6×18 colonne. La cella[51] non ha opistodomo o adyton, ma un pronao che per la sua ampiezza assume l’aspetto di un atrio colonnato. La fronte della cella è tetrastila, lateralmente sono presenti due risvolti di muro con una mezza colonna, mentre una colonna intera è tra le ante. Ai lati della porta del naos troviamo due torri scalari. Ad est del tempio, a circa 30 metri, è posto l’altare su cui si svolgeva il culto vero e proprio, secondo la tradizione religiosa greca.

I culti praticati all’interno del santuario settentrionale.

L’Athenaion arcaico era circondato da altri sacelli e luoghi di culto, tra i quali quello dedicato ad Artemide, e di cui quello a nord del tempio di Cerere potrebbe essere sacro a Zeus e in seguito a Iuppiter. La presenza del culto di Athena è accertata dal ritrovamento di statutette di V a.C. , di epigrafi con dedica di decima (offerte spesso dedicate alla dea in ambiente acheo-coloniale). Nel IV a.C. compare il tipo più diffuso dell’immagine sacra “stante elmo egida”. Dalla stipe del tempio proviene anche un vaso con dedica (M)ENERV(AE) incisa prima della cottura e datato al II a.C. il culto quindi continua in età romana, probabilmente associato a Giove.

A nord dell’Athenaion  è stata invece individuata un’importante e ricca stipe ellenistica consente di localizzare un altro culto, quello di Afrodite, anche se potrebbe trattarsi con più sicurezza di Dioniso/Liber: vi sono infatti molte statuette di Dioniso giovane e coronato, seduto su una roccia, e figure di giovani satiri e sileni, mentre gli eroti si rifanno alla tradizionale sfera erotica del dio. Per quanto riguardo il culto di Demetra, nei pressi del tempio sono stati trovati elementi di terrecotte, ma anche sotto la chiesa dell’Annunziata si tratta si figure con fiaccola e porcellino, anche di grandi dimensioni (V a.C.)

Con l’età romana, il santuario settentrionale, che già in età greca fungeva da acropoli simbolica, in contrapposizione all’area sacra meridionale, diventa arx della colonia latina.Viene infatti introdotto il culto palatino di Iuppiter associato a quello di Athena-Minerva[52] – quest’accoppiamento risale alla fase della deduzione della colonia – e a quello di Dioniso-Liber.

In pratica per il santuario settentrionale di Paestum, secondo M. Torelli,  viene proposto un nuovo assetto topografico che rispecchia quello presente nell’Urbe sull’Aventino, dove sono collocati i due santuari di Minerva e Libero, e dove c’è anche il tempio di Iuppiter. Ripetendo il modello dell’Aventino, come centro religioso formale, il santuario settentrionale viene rifunzionalizzato in età coloniale e  finalizzato ai riti plebei di passaggio giovanili.


[1] Le vicende relative alla storia di questa colonia greca sul Tirreno sono narrate in poche righe da Strabone, geografo storico vissuto nel II a.C. In un passo della sua “Geografia”, descrivendo le coste tirreniche dice che nel golfo poseidoniate era la città omonima fondata dai Sibariti, i quali in un primo momento costituirono un fondaco presso il mare e poi si trasferirono nel luogo in cui si trova ancora la città. questa successivamente fu occupata dai Lucani, e più tardi ancora dai Romani.

[2] Da quanto recentemente scoperto nella zona della necropoli del Laghetto (fuori città, verso nord-est), sia per i corredi che per la storia archeologica dell’insediamento, si ricava una datazione delle origini della colonia greca assai vicina agli inizi del VI a.C.

[3] . Dopo la caduta di Siris la città prosperò. Aveva sostituito Sibari nei commerci con la Sardegna ed aveva un canale preferenziale nelle esportazioni con gli Etruschi. Ebbe un periodo di pace con tutte le popolazioni limitrofe, non conoscendo alcun tipo di guerra.

[4]Con la fondazione della colonia latina, la città conobbe un nuovo splendore. Essa rimase fedele a Roma sia sotto le guerre di Pirro che quelle di Annibale e venne ripagata di tale fedeltà, potendo coniare una moneta propria. Si racconta che dopo la sconfitta di Canne la città diede a Roma tutto il suo oro per finanziare il nuovo sforzo bellico. La città di Paestum conobbe un nuovo splendore in età romana: venne realizzato un foro, un anfiteatro, un ginnasio. La fine della città fu per cause naturali: il fiume Salso la inondò e formò un’area paludosa

[5] Tra l’VIII e il IX sec., a causa del progressivo impaludamento e della malaria, il villaggio medievale venne quasi del tutto abbandonato dai suoi abitanti, che si rifugiarono sul Monte Calpazio, dove sorse il nuovo abitato di Caputaquis, identificabile con Capaccio Vecchia.

Da allora, la conoscenza di Paestum rimase limitata a pochissimi eruditi, fino a che, alla metà del XVIII sec., grazie all’interesse di numerosi artisti e letterati, se ne diffusa la fama in tutta Europa: Paestum divenne una delle mete del Grand Tour.

[6] Realizzate in opera quadrata in calcare, a doppia cortina, le mura sono interrotte da quattro porte, poste in corrispondenza dei punti cardinali e dei principali assi viari:ad est, Porta Sirena; a nord, Porta Aurea; a ovest, Porta Marina, preceduta da un vestibolo e difesa da una torre circolare; a sud, Porta Giustizia.

[7] I nomi con cui ancora oggi sono conosciuti furono attribuiti loro a partire dal Settecento dai primi viaggiatori e studiosi. L’edificio meridionale fu interpretato come una basilica romana, mentre il tempio situato immediatamente a nord, fu attribuito a Nettuno, il corrispettivo di Poseidonion a cui ‘doveva’ essere dedicato il più grande dei tre templi;  ricerche successive hanno consentito di precisare le attribuzioni dei templi, sebbene nella letteratura si siano mantenuti i nomi convenzionali.

[8] Le colonne, in pietra arenaria, hanno una profonda entasis e un echino molto schiacciato; alcuni capitelli del pronao presentano una decorazione ad antemio di palmette e fiori di loto (si tratta del cosiddetto capitello acheo). Sull’architrave poggiano lastre in arenaria, il fregio e la cornice, rivestita da terrecotte architettoniche policrome, sime a baldacchino, finte grondaie, cassette e rampanti frontonali.

[9] Le colonne, alquanto tozze, presentano ventiquattro scanalature e un leggero rigonfiamento lungo il fusto.

[10] Nella costruzione del tempio sono applicate alcune correzioni ottiche, come la curvatura delle orizzontali.

[11] Si tratta di installazioni che vanno ad occupare lo spazio tra il tempio di Nettuno ed il Foro.

[12]Furono ritrovati :cumuli di ossidiana, manufatti litici (dal Neolitico all’Età del Bronzo), ex voto miniaturistici e d’impasto, punte di lancia, coltelli e coppe per libagioni, una lastrina d’argento con l’iscrizione τό Διoς ξεινō (forse di VI a.C.), tetradrammi del tipo di Poseidon .

[13] Datato al I a.C. per il suo profilo a cyma riversa.

[14] Si tratta di cassoni di forma quadrata (che a detta degli scavatori furono addossati gli uni agli altri in tempi successivi), oggi reinterrati a 10 m dal tempio di Nettuno, ad una profondità di 80 cm. dal piano di campagna.

[15] Il materiale votivo recuperato sia all’interno che all’esterno dei loculi, era coperto da uno strato di cenere vesuviana.

[16] In ognuno dei loculi era mescolato: ceramica, fittili votivi, piccoli oggetti, statue (VI a.C. – età romana) .

In prevalenza (65%) il materiale è formato da terrecotte figurate e ceramica lucana.

La parte restante (30%) è formata da terrecotte figurate arcaiche e materiale di età romana (occasionale) e votivi anatomici, successivi al 273 a.C. (anno deduzione colonia latina).

[17] Per la sua particolare struttura architettonica, con cella dotata di banconi laterali e base per la statua di culto sopraelevata, il tempio è stato riferito al culto di Magna Mater.

[18] Tra gli oggetti ritrovati: 21 coppe monoansate, 15 kylikes, 6 skyphoi, 5 coppette  a vernice nera, 18 vasetti miniaturistici, 4 kantharoi e una lucerna, e inoltre una phiale mesomphalos in bronzo, 3 coltelli in ferro e uno spiedo.

[19] Questa teoria a partire dagli anni ’50 in poi  del XX secolo, poggia sulla suggestione derivata dalla pubblicazione dell’Heraion alla Foce del Sele da parte di Zanotti Bianco e Zancani Montuoro, e dalle contemporanee ricerche della Gurducci: quest’ultima, anche grazie al ritrovamento del disco d’argento, aveva ridimensionato il valore delle pretese testimonianze epigrafiche su Poseidon, invitando piuttosto a prendere in considerazione il ruolo di Hera all’interno del santuario.

[20] Heraion 1937, Heraion I, Heraion II.

[21] Heraion I, p. 17.

[22] Guarducci 1952, pp.150 – 151.

[23] Sestieri 1955, Sestieri 1955 A, pp.38-42.

[24] Il Sestieri non è l’unico a tracciare un quadro dell’assoluta preminenza di Hera a Paestum, ma gli fa eco la Zancani Montuoro, la quale vede la persistenza di Hera anche in età cristiana, nel culto della Madonna del Granato.

[25] M. Cipriani , “Il ruolo di Hera nel santuario meridionale di Poseidonia”, in Hera, images, espaces, cultes. Actes du Colloque International de Lille (1993) Naples, 1997 (Coll. CJB,15) pp.211-225 e relativa bibliografia.

[26] Mertens 1993: non aggiunge elementi nuovi ma pone delle questioni relative all’espletamento del culto all’interno dell’edificio. Secondo Mertens vi sarebbero riti e processioni dei fedeli: a questa esigenza (una maggiore spazialità interna) si collegano alcune variazioni strutturali, some la sostituzione dell’opistodomo con l’adyton, l’innalzamento del pavimento della cella e l’allargamento dell’ultimo interasse centrale. Questa prima fase della costruzione risale al 550-540 a.C. , mentre la decorazione e l’altare sono del 520-510 a.C.

[27] L’oggetto e la dedica rimandano alle processioni di uomini presso l’Heraion argivo, dove avveniva la gara dell’Aspis (consistente in uno scudo che gli arcieri a cavallo dovevano colpire con le frecce).

[28] Nel santuario urbano ne sono state individuate soltanto un paio, mentre sono presenti maggiormente nell’Heraion del Sele.

[29] Le divinità siedono su un trono a spalliera con suppedaneo. Hera, panneggiata, senza polos, reca nella mano sinistra un cesto di frutta; di Zeus si conserva solo il volto barbato. Tra le teste delle due divinità è inserita una rosetta. Proveniente dal santuario meridionale della città. Riferibili alla stessa tipologia sono altri due esemplari, di cui uno rinvenuto nel santuario dell’Heraion alla Foce del Sele.

[30] Se ad Afrodite competono seduzione ed amore, Hera è la protettrice dei matrimoni: in questa veste riceveva dei sacrifici nel mese di Gamelione (gennaio), generalmente preferito per le nozze. La dea che protegge è la sposa divina, ma soprattutto la moglie per eccellenza, il modello a cui deve guardare ogni sposache abiti in una polis degna di questo nome.

Nei rituali le si conferivano tre appellativi, in relazione ad i momenti dell’anno connessi con la sua vita: in primavera veniva venerata come Parthenos in estate come Teleia (la Perfetta, la Realizzata), in inverno come Chera (la Separata, la Vedova).

[31] Il bambino rappresenta l’incarnazione della prole legittima, per la quale Hera garantisce la crescita della società cittadina.

[32] I busti femminili sbocciano dai petali dei gigli oppure ne sono il supporto.

[33] La presenza di Chirone  è segnalata in Tessaglia e alcune sue tracce in area peloponnesiaca e dorica (Thera in particolare). Questo ambiente culturale dorico – peloponnesiaco non è divisibile dalla cultura achea e quindi anche nell’area coloniale vi sono riflessi indiretti di Chirone .

Parte del mito di Melanippe, figlia o discendente di Chirone, è ambientata da Euripide a Metaponto, mentre l’altra parte si svolge in Tessaglia. Questo è un indizio della sua popolarità in ambito acheo d’Occidente, dovuto al fatto che le colonie achee, e probabilmente la loro madrepatria, fanno parte di quell’area religiosa greco-occidentale che del centauro conserva memoria.

[34] in precedenza era stata proposta dallo Spinazzola l’ipotesi di [Пοσ]είδονος)

[35] Si tratta di un saggio praticato in pieno santuario urbano, a 25 m. circa ad est dell’altare della c.d. Basilica.

[36] Ad esempio ciò avviene a Thera, nel santuario di Apollo Karneios.

[37] Plut. Quaest. Conv., III, 1.

[38] È presente infatti sul Pelio, a Thera, a Farsalo e forse nella grotte di Malea, quest’ultima da mettere in relazione con la sua morte.

[39] Nel culto tessalico del Pelio chitone infatti affianca Zeus Akraios, come anche a Thera, mentre uno scolio omerico lo dice figlio di Poseidone.

[40] Ardovino 1986  p. 22.

[41] Si tratta di un fenomeno tuttavia generalizzato: a Thera infatti non sono attestate iscrizioni classiche o più recenti, in ambiente peloponnesiaco la sua presenza è ridotta al mito, mentre ad Epidauro, dove Chirone sembra aver giocato un ruolo, la sua figura è adombrata da Asclepio, il dio guaritore per eccellenza.

[42] Torelli.1988, secondo il quale a lui appartiene la zona centrale del santuario meridionale, a partire dal limite sud dell’area intertemplare tra la Basilica e il tempio di Nettuno è sotto la tutela di Apollo hiatros – medicus, col suo gruppo di monumenti : il tempio di Apollo – sede del dio -  il tempio n.10 del Sestieri con il suo altare, la lesche monumentale (c.d. Orologio ad acqua) al quale complesse canalizzazioni conducevano acqua da sud est.

[43] Localizzato ad est degli altari della Basilica e del tempio di Nettuno, ha forma quasi quadrata ed era probabilmente circondato da un peristilio. Lungo i lati meridionale e occidentale corre una canalizzazione scavata in blocchi lapidei. Questo apprestamento fece proporre l’identificazione con un orologio ad acqua, ma già il Sestieri esprimeva riserve sull’interpretazione (P. C. Sestieri, La città; la necropoli preistorica in contrada Gaudo; l’Heraion alla foce del Sele, Roma 1967 p 14). Lo studio architettonico del Lauter interpreta l’edificio come un bouleterion datato al VI a.C. e la canalizzazione alla fine del secolo, definendola una struttura di drenaggio (H. Lauter Ein archaischer Hallenbau in Poseidonia Paestum, in RM 91, 1984 p .37 e ss.); ad essa si collega una conduttura scavata nel banco roccioso che si dirige verso i resti di una cloaca fuoriuscente dalla città attraverso le mura meridionali. Il Torelli propone di identificare la struttura con una lesche, collegata alla scuola medica poseidoniate, in rapporto alla sorgente ipotizzata (M. Torelli,in Paestum romana, in Atti Taranto XXVIII, 1987, pp.63-64).

[44] E’ noto che nel periodo fra la seconda metà del VI sec.a.C. e l’inizio del successivo vennero pavimentate le plateiai e gli stenopoi e furono apprestate le fognature e i sistemi di drenaggio; può essere citata come esempio di queste canalizzazioni arcaiche una cloaca a spalle lapidee, fuoriuscente dal temenos di Hera e dalle mura meridionali, costruita per il drenaggio dell’area dedicata ad Apollo Hiatros . In generale anche per Poseidonia, fin dall’epoca della fondazione, vale la regola generale dello sfruttamento dell’impianto ortogonale come schema di sviluppo del drenaggio urbano che, fermo restando il problema dell’orientamento in età greca rispetto alla situazione di Paestum romana, seguiva probabilmente una direzione di deflusso a mare verso ovest.

[45] vedi nota n. 11.

[46] Il ritrovamento della statua di Zeus è emblematico: i frammenti della testa e della parte superiore del reperto furono ritrovate tra i loculi ed il tempio di Nettuno, altri frammenti in prossimità e dentro il 3° loculo, mentre a 80 m verso nord (lato settentrionale del foro) la parte destra del capo.

[47] La figura, raffigurante una divinità maschile in trono ( si data al 520 a.C.)  presenta un corpo dai volumi massicci, coperto da un chitone giallo e da un mantello rosso, con un mantello rosso bordato da motivi geometrici neri. Il viso e le parti nude sono dipinte in rosso, in nero invece sono la barba, i baffi e la capigliatura.

[48] Ricordiamo che il culto dell’eroe è connesso ad Hera nelle sue vesti di Hoplosmia (Milone di Crotone, sacerdote di Hera Hoplosmia è assimilato ad Eracle).

[49] Sono state infatti ritrovate statuette di Attis e figure femminili su pavone.

[50] Grazie alle sime fittili il tempietto è databile al 580-570 a.C. e fu probabilmente mantenuto in vita fino agli ultimi decenni del VI.

[51]  La cella è oggi quasi del tutto scomparsa; rimane in situ solo la base del pavimento, sopraelevato di circa 1 metro rispetto al peristilio.

[52] Sono venute alla luce due iscrizioni gemelle su blocchi monolitici, pertinenti ad altari in cui si legge : IOVEI e (M)ENERVAE.


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