È incredibile come, a volte, cose che parevano immutabili, cambino così repentinamente. Anni in cui nulla accade, in cui tutto si sussegue monotono e sempre uguale, vengono improvvisamente spazzati via in pochi giorni, o settimane; al massimo qualche mese.
Vivo nello stesso quartiere da oltre quarant’anni. Lo ricordo assolato e silenzioso nei pomeriggi estivi durante le vacanze scolastiche; oppure freddo e grigio negli inverni infiniti di austerity e terrorismo. Ma sempre immutabile; le stesse case, le medesime fabbriche, i soliti campetti malridotti. Poi, come una bella addormentata che si risveglia sotto baci di cemento, le fabbriche sono state demolite, le vecchie case sventrate e i campetti violentati da nuovi condomini, spuntati come i ponti del diavolo che ogni paese italiano racconta costruiti dal maligno nel corso di una sola notte.
Se sia bene o male non lo so dire; quello che è certo, è che il quartiere ha cambiato il suo volto immutabile nel giro di pochi anni. Ciò che credevo immodificabile si è modificato, ciò che credevo eterno, non lo è stato.
È facile ora, col senno di poi, dire che anche la mia situazione, che pareva così nera e fossilizzata in un voodoo senza fine, è finalmente cambiata. Quasi due anni di disperazione e pessimismo totale, sembrano avviarsi a esaurimento e, per una curiosa combinazione, tutto questo coincide con un mutamento politico negli assetti della città e di un’Italia intera che sembra finalmente risvegliarsi da un torpore quasi mortale. Via gli affaristi snob, a casa chi pensava di arricchirsi con l’atomo, o vendendo un bene prezioso come l’acqua.
Come per il mio lavoro, non so dire se e quanto durerà questo vento allegro e profumato di nuove cose e freschi entusiasmi. Ciò che al momento è la realtà, che io stesso stento a credere, è che mi sono ritrovato nuovamente art director di una piccola rivista, e che ne curerò anche l’edizione francese; e che sono art director anche di un’altro giornale che l’ex direttore è finalmente riuscito a piazzare a qualcuna delle sue infinite conoscenze e che, se tutto va bene, sarò nuovamente in grado di mantenere la mia famiglia in modo dignitoso.
Tutto come prima allora? No, non credo proprio. La lezione è stata dura e non è detto che sia finita così presto. Robert Heinlein scriveva che La Luna è una severa maestra, ma la vita lo è ancora di più. Come ogni malattia lascia sempre qualche parte del nostro corpo indebolita rispetto a prima della sua comparsa, anche questa esperienza lascerà le sue cicatrici. La paura di ricadere nel baratro non scomparirà così facilmente, e anche il modo di vedere le cose non potrà più essere lo stesso.
Un fatto inconfutabile è che non ho ancora firmato nessun contratto. Solo quando questo accadrà potrò tirare fuori dall’humidor il Cohiba Siglo II e stappare il moscato del trentino. Ricordandomi però che nulla dura in eterno, niente è immutabile e che lo scalino che potrebbe farmi inciampare nuovamente è lì che aspetta, ben nascosto fra tutti gli altri.