Il generale dalla Chiesa era stato lasciato solo. La sua nomina a prefetto di Palermo – lo sapevano tutti e lo sanno tutti – era una di quelle punizioni travestite da promozione. Il personaggio è uno di quelli che di diritto dovrebbe far parte del pantheon degli eroi di ciascun italiano: lotta contro la mafia e contro il terrorismo, mettiamoci pure un passato da partigiano. Indagava su tutto, ha toccato molti fili scoperti dei misteri italiani. Dal rapimento Moro alle stragi, dal terrorismo rosso alle nuove strategie della mafia siciliana. Fu uno dei primi a intuire, insieme a Pio La Torre, che Cosa Nostra stava mettendo le mani anche su grandi affari come la base militare di Comiso. L'esperienza non gli mancava e quindi lo sapeva prima di tutti lui stesso che non gli avrebbero fatto svolgere il suo ruolo in Sicilia: «Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì».
Perché lo ricordo il giorno dopo la solita ipocrita parata istituzionale in memoriam? Semplice, perché il 4 settembre del 1982, appunto il giorno dopo, vicino al luogo dell'attentato spuntò una scritta anonima, della quale tanto si è parlato negli anni:
«Qui è morta la speranza dei palermitani onesti»Un necrologio che rende davvero onore alla memoria del generale dalla Chiesa e del suo sacrificio. I palermitani (e i siciliani) onesti si sentirono morti anche loro sotto i colpi di kalashnikov in via Carini e sicuramente si sentirono oltraggiati dall'ipocrisia dei potenti che si presentarono al funerale. Prima ancora di Craxi durante Tangentopoli, furono questi politici ad assaggiare la rabbia delle monetine del popolo umiliato e offeso. Fu risparmiato solo Sandro Pertini.
Ventinove anni dopo i palermitani e i siciliani onesti ci sono ancora, ma la loro speranza è morta troppe volte. E mai di morte naturale.