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Anche il suo partner, Ian Shaw non è da meno, con la sua marsina nera, vestito di scuro, una rosa di tela grigia che fa tanto parure con le due rose (all'altezza dei seni) della regina Sarah.
Definirei SJM più che una cantante una poetessa che declama i suoi versi, una donna che racconta le proprie emozioni, che descrive, attraverso rapide e decise pennellate, ricordi, trepidazioni, incertezze.
E il suo volto è una maschera che si modella attorno alle proprie parole. Scorrono, brano dopo brano, i temi a lei cari: l'amore, l'amicizia, il pianeta ammalato, il Natale troppo intasato di cose e con uno spazio sempre più angusto per i sentimenti veri.
Un ricordo per un'amica che se ne è andata dopo una malattia, la gioia di aver condiviso tanti momenti insieme. L'amicizia, anche quella con Ian, non è di quelle di facciata, tanto per dire: è lì, palpabile, fisica, un'intesa profonda, anche qui oltre l'aspetto artistico.
Ian si prende i sui spazi. Ci suona Spain di Corea/Jarreau e sembra di sentire tutti e quattro i Manhattan Transfer condensati nel pianoforte e nella voce. Poi racconta di Chet Baker mentre intona My Funny Valentine. Poi Stevie Wonder, poi Ray Charles poi, poi... una voce bellissima, duttile, che si muove con scioltezza dal blues al gospel al jazz, che improvvisa, che gioca, che diverte e si diverte.
La serata scorre via bene. Di nuovo si ha la sensazione di trovarci di fronte a persone che, sotto l'abito di scena, hanno veramente qualcosa da raccontare. Perfino Imagine riesce a diventare un brano che va oltre la poetica di Lennon, con una lettura che oscilla con fluidità dal piano politico a quello più intimo e personale.
Molto bravi, molto bello e, per dirla con il loro ultimo duetto, giocato con un italiano romantico e un po' avventuroso, "alla proxima!".
Marco Lorenzo Faustini
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