Sarajevo 1992: il parlamento
in fiamme durante l'assedio
(Ph: M.Evstafiev/Wikipedia)
In occasione di questo ventennale è stata organizzata una reunion a Sarajevo di giornalisti e reporters che "coprirono" (come si dice in gergo) la guerra di Bosnia: sede di questa singolare e un po' sconcertante rimpatriata, manco a dirlo, l'hotel "Holiday Inn" che fu la sede della stampa internazionale durante gli anni dell'assedio, proprio lungo la "snypers alley".
Il rischio, come ha scritto Tim Judah su Eastern approaches - The Economist il 23 marzo in un pezzo intitolato "Bosnia past, present and future", (disponibile tradotto in italiano sul sito di Osservatorio Balcani e Caucaso) è che "chiunque si interessi di Bosnia Erzegovina verrà ben presto sottoposto a un diluvio di malinconici 'Io c'ero', storie raccontate da una combriccola di giornalisti che seguirono la guerra e che ora si riuniscono a Sarajevo in commemorazione del 20mo anniversario dell'inizio dell'assedio alla capitale bosniaca".
Anche Tim Judah c'era, ma scrive che non ci andrà: "Ciò che temo è che, ai lettori e ai telespettatori dei materiali che emergeranno da quell'evento, verranno servite le solite storie rimaneggiate sulla Bosnia raccontate da corrispondenti pieni di nostalgia che non hanno alcuna idea di cosa la Bosnia sia ora".
Di quello che fu quella nuova guerra nel cuore dell'Europa - che avrebbe cambiato profondamente il volto di Sarajevo, della Bosnia Erzegovina, dei Balcani e della stessa Europa - scrive oggi Enzo Bettiza in un lungo articolo sulla Stampa.
"Molti non vollero o finsero di non capire quello che stava accadendo nel cuore più antico dei Balcani. Cercarono di vedere ad ogni costo, in quella fatidica scelta plebiscitaria della BosniaErzegovina, la causa e l’inizio di un conflitto tra «milizie serbe» da una parte e «milizie musulmane e croate» dall’altra. Nulla di più opinabile. L’ossessione della simmetria, fin dai primi massacri di Vukovar che la negavano, era stata poi quasi sempre costante e determinante nella passività delle capitali occidentali. Queste, infatti, finirono per lavarsi le mani affidando alle risoluzioni dell’Onu e all’ambigua neutralità dei caschi blu dell’Unprofor (United Nations Protection Force) il compito di tutelare, senza spendere una cartuccia, la drammatica coesistenza tra aggrediti e aggressori. Equanimità forzata, ma assai calcolata, con il male e il bene giudiziosamente spartiti fra tutti gli ex jugoslavi, tutti carnefici e vittime nello stesso istante, è stato il velo pilatesco con cui l’Occidente fino al genocidio di Srebrenica si è bendato gli occhi, onde evitare un’identificazione esatta e compromettente di chi aveva scagliato la prima pietra".
Sarajevo, 5 aprile 1992:
il primo attacco sulla città in servizio di Yutel, programma televisivo di informazione voluto dal Consiglio federale della Jugoslavia e dall’ultimo premier Ante Marković che cercò di mantenere il senso di unione federale, grazie a giornalisti e servizi obiettivi.