Magazine Cultura
Le sepolture dell'Età del Ferro
di Pierluigi Montalbano
Intorno al X a.C., in Sardegna si assiste a una serie d’innovazioni in campo funerario, architettonico, artistico e, conseguentemente, sociale. Alle Tombe di Giganti e Domus de Janas, riutilizzate per sepolture e altre funzioni, si affianca una tipologia già conosciuta all’inizio del IV Millennio a.C.: le tombe a fossa o pozzetto. Si tratta di piccoli sepolcri nei quali il defunto era sistemato in posizione rannicchiata, a volte accompagnato da un corredo funerario. E’ il caso, ad esempio, delle 3 tombe scavate da Ugas a pochi metri dal Tempio di Antas, a Fluminimaggiore. Un parallelo può essere proposto con le sepolture a pozzetto scavate da Bedini e Tronchetti a Monti Prama, nel territorio di Cabras, e con quelle nella regione di Is Aruttas, sempre a Cabras; il saggio di scavo condotto in queste ultime, mise in luce cinque tombe a pozzetto circolare scavate nel tufo trachitico. I sepolcri a pozzetto hanno un diametro di una cinquantina di centimetri e una profondità tra i 40 e i 50 cm; in uno di essi fu rinvenuto lo scheletro seduto del defunto. Una decorazione scultorea con crescenti lunari era associata alle tombe, forse a chiusura della parte superiore del pozzetto. Lo scavo di Antas, nel 1984, ha portato alla luce tre tombe a pozzetto circolari, allineate in direzione nord-sud, chiuse da un tumuletto di pietre di media pezzatura. Due dei sepolcri contenevano i resti dei defunti inginocchiati. La cronologia del IX a.C. è resa dal corredo della tomba 3, con perline sferiche in cristallo di rocca, perline a botticella, cilindriche e biconiche in ambra e vetro, vaghi e pendagli e un bronzetto. Il sito è stato scavato anche nel 1993, e ha restituito nuovi elementi: due nuovi pozzetti funerari si sono aggiunti ai precedenti, più vicini al podio templare che, forse, copre la serie più numerosa delle tombe indigene. Nella terra nera e carboniosa che circonda i pozzetti nuragici, le indagini più recenti hanno individuato alcune fossette con offerte votive: carboni e resti di ossa animali.
A Monti Prama, Tronchetti ha messo in luce oltre trenta tombe a pozzetto, affiancate e allineate in direzione nord-sud, coperte da lastroni monumentali; sotto 40 cm di riempimento di terra, una lastra più piccola costituisce la chiusura vera e propria della bocca del pozzo che ospita il defunto, inumato in posizione rannicchiata; le dimensioni dei pozzetti e le caratteristiche del rituale sono praticamente identiche a quelle riscontrate ad Antas. Queste tombe rappresentano una parte della necropoli più ampia, già scavata da Bedini e che, oltre ai pozzetti, si caratterizza per la presenza di tombe foderate con lastre, e di ciste litiche. L’elemento più rilevante per la cronologia è al momento lo scaraboide rinvenuto nella tomba n° 25, di tipologia egiziana e attestato a Tiro e a Cipro in orizzonti di VIII a.C.
In questo periodo s’intensificano i rapporti con i commercianti levantini, e gruppi familiari di queste genti si insediano in Sardegna integrandosi con i locali. Le generazioni sardo-levantine applicano i rituali funerari del Vicino Oriente e l’analisi delle due importanti necropoli di Tharros offrono un’attenta cronaca delle nuove usanze. Tutti i musei del mondo hanno migliaia di reperti mediterranei e punici provenienti dalle tombe di Tharros. Non sappiamo se le due necropoli servissero due centri diversi. La necropoli meridionale è molto estesa e fu saccheggiata nell’Ottocento. Le tombe arcaiche sono di due tipi: a fossa e a cista litica. In molte di quelle a fossa ci sono tracce di bruciato poiché hanno un rito d’incinerazione primaria. Le incinerazioni sono di due tipi: primaria e secondaria. La primaria consiste nello scavare una fossa abbastanza grande nel terreno, allestire la pira funeraria, preparare il cadavere e sistemarlo sopra. Dopo la combustione, i resti sono automaticamente nella fossa (per caduta). Nell’incinerazione secondaria esiste un luogo (ustrinum) dove il cadavere viene bruciato. I resti sono poi deposti in un’urna che è sistemata nella tomba. Ustrinum e tomba sono distanti, da pochi metri fino a qualche chilometro. Le varie sepolture, ossia i riti funerari, sono indizi del periodo perché si alternavano nel tempo e nei luoghi. I punici preferivano l'incinerazione secondaria (ecco spiegate le varie ceramiche tipiche). I sardi preferivano l'inumazione e, in seguito, l'incinerazione primaria. I tofet sono tombe a incinerazione secondaria. Altre, più piccole, sono a deposizione secondaria. L’unica tomba mediterranea documentata nella necropoli meridionale è stata trovata a filo con una tomba punica, quindi i punici conoscevano l’esatta ubicazione delle tombe fenicie e scavavano le loro a filo, rispettando le precedenti. La tomba mediterranea a fossa era coperta con lastre di arenaria chiuse con argilla. Sotto le lastre, la deposizione era a incinerazione secondaria con il corredo costituito dalla brocca con orlo espanso (a fungo), il piatto e la pentola.
In età punica ci sono due tipi di tombe: a fossa parallelepipeda e a camera. Le prime erano scavate nella roccia e coperte da lastre, a volte inserite in riseghe scavate in alto e cementate con argilla. Quelle a camera occupavano il terreno in profondità, mentre negli spazi liberi si alternavano quelle a fossa che erano più superficiali. Il modulo di accesso era a dromos, con scale che nella fase più antica occupavano tutto il lato breve, mentre nelle tombe più recenti si limitavano a una fascia, come quelle africane. In rari casi abbiamo tombe con la scala al centro. Dopo la deposizione del defunto, l’ingresso era sigillato con una lastra e argilla, e il dromos della tomba veniva riempito di terra. Le camere sono piccole, spesso con delle nicchie sulle pareti laterali e i pavimenti si trovano a livello più basso del dromos. In molti casi ci sono delle linee dipinte in ocra rossa, come le tombe africane e una cinquantina di Cagliari. Come a Kerkouane, vicino a Cartagine, vi sono delle tombe che sono state intercettate dal dromos di altre tombe costruite in seguito. In questi casi veniva ricostruito il paramento murario della tomba. Il dromos era ultimato prima di costruire la camera perché ci sono casi in cui è completo, ma la camera non è stata costruita perché avrebbe distrutto la tomba adiacente. Gli scavi hanno evidenziato tantissimi cippi funerari. La necropoli settentrionale è simile dal punto di vista tipologico a quella meridionale e sono state trovate anche qui delle tombe levantine integre, scavate nella sabbia anziché nella roccia, coperte con lastre, e il rito di sepoltura prevedeva l’incinerazione primaria. La necropoli è stata depredata ma le tracce hanno restituito dei materiali interessanti che mostrano tombe puniche con dentro materiali mediterranei. Anche questa potrebbe essere una prova della precoce penetrazione di genti cartaginesi, già intorno al 650 a.C.
Una tipologia a parte è costituita dai tofet, i cimiteri dei bambini. Sono santuari a cielo aperto, consistenti in un'area consacrata, dove erano deposti e sepolti ritualmente i resti combusti delle sepolture infantili. Una zona ristretta dell'area era in genere occupata dalle installazioni per il culto (sacelli e altari). Molte urne erano accompagnate da stele con iscrizioni. Si trovano di solito in aree periferiche delle città, nei pressi delle necropoli. Sono caratteristici dell’area mediterranea centrale. Sono assenti in Libano, Spagna e Ibiza. Li troviamo in Tunisia (Soùsse e Cartagine), Sicilia (Mòzia, Solùnto e Lillibèo) e Sardegna con Tharros, Sulci, Monte Sirai, Nora, Cagliari e Bithia. In Africa di età neo-punica, dopo la prima distruzione di Cartagine, abbiamo una proliferazione di tofet.
In questi santuari l’elemento preponderante non è l’edificio, anche se a volte può esserci. Il tofet è sempre circondato da un temenos, ossia un recinto sacro, all’interno del quale c’è la deposizione di urne in ceramica e stele in pietra. Generalmente si trova a nord dell’abitato in una posizione periferica e non viene mai spostato: qualora si dovessero fortificare le città si arriva a modificare il percorso delle mura per non spostare il tofet. Le urne contengono le ceneri di fanciulli, infanti, agnelli e capretti e, sporadicamente, uccelli. I bambini potevano essere feti o neonati ma a volte si arrivava fino ai 3-4 anni. Le urne sono sempre vasi in ceramica di diversa forma ma dobbiamo intendere l’urna come elemento di una funzione e non come vaso.
È sempre dedicato a due divinità: Baal Ammon e Tanìt, attestata come “manifestazione di Baal”, che lo affianca dal V a.C. per poi soppiantarlo. Il primo è una divinità dinastica minore attestata raramente in oriente ma a Cartagine acquista importanza e spesso è accompagnata dalla divinità femminile. I greci lo identificano con Krono e i romani con Saturno, quindi è una divinità ancestrale, cioè deriva dai remoti antenati. Anche Tanìt è una divinità orientale che raramente è attestata in Libano, ma in Occidente diviene la più importante insieme ad Astarte. Nell’interpretazione greca e latina era assimilata a Era o Celèstis (Giunone). Prima del tofet di Cartagine sono stati individuati quello di Nora, precisamente sulla spiaggia orientale della città nel 1889, e quello di Mozia, in Sicilia, ma non furono interpretati come santuari, si pensò a semplici necropoli a incinerazione. Solo a Cartagine furono eseguite analisi osteologiche sui resti e ci si rese conto che si trattava di bambini. Gli studiosi ipotizzarono che si trattasse di sacrifici umani, come quelli documentati nella Bibbia. Non bisogna dimenticare che i primi archeologi erano semitisti che si formarono sulla Bibbia e quindi pensarono ai sacrifici celebrati in oriente vicino a Gerusalemme e menzionati in alcuni brani delle Sacre Scritture. Ci sono diversi passi che parlano di tofet e di figli che sono offerti agli dei con il passaggio dentro il fuoco. Il rito era condannato da Dio ma ci si rese conto che i tofet vicino a Gerusalemme di cui parlava la Bibbia, nel Deuteronomio e nel libro dei Re, potevano essere gli stessi. È evidente che i mediterranei non li chiamavano così, è stata una nostra associazione. Fino agli anni Ottanta, dalla lettura delle fonti classiche (Diodoro, Plutarco, Platone, Tartulliano), si è pensato a un rituale con sacrificio di bambini a Krono (Baal-Ammon o Saturno) in caso di grave pericolo per la popolazione. Tuttavia questa ipotesi è stata confutata dal Moscati che evidenzia importanti elementi: le analisi istologiche hanno mostrato la presenza di feti, mettendo in dubbio la teoria del sacrificio; altro elemento è l’interpretazione delle fonti classiche perché non si trattava di usanze ma di casi di particolare pericolo: pestilenze, guerre e quindi uccisioni in situazioni eccezionali. Anche nella Bibbia si parla di fatti occasionali e non di uccisioni rituali ripetute. Come si può facilmente notare, la questione dei tofet investe l'archeologia, la storiografia, l'esegesi biblica, l'antropologia, le tradizioni culturali.
Secondo Moscati nei tofet c’erano i resti di sacrifici di quei bambini non ancora passati attraverso il rito d’introduzione nella comunità (battesimo e circoncisione). Non facevano ancora parte del mondo degli adulti e non potevano essere sepolti con loro. Dovevano essere purificati col fuoco e sepolti a parte, in apposite urne, e in qualche caso si sacrificava alle divinità qualche piccolo animale. Un gran numero d’iscrizioni ritrovate nei tofet riportano delle formule rituali sempre uguali: denominazione dell’oggetto offerto alla divinità (stele, dono), denominazione del rito (molch), il verbo della dedica o del dono, il nome e la genealogia dell’offerente, la divinità (Baal-Ammon o Tanìt) e il motivo dell’offerta, che si concludeva con la frase: “…perché ha ascoltato la sua voce”. Questa formula successivamente è cambiata mettendo prima il nome della divinità.
Ad esempio: “STELE DI MOLCH OFFERTA AL SIGNORE BAAL AMMON CHE HA DEDICATO SULL’ALTARE (tizio) FIGLIO DI (caio) FIGLIO DI (sempronio) PERCHE’ HA ASCOLTATO IL SUONO DELLA SUA VOCE”, cioè perché ha esaudito la richiesta, la preghiera.
A oggi non sappiamo se ogni stele sia legata a un’urna in particolare, né se le offerte erano rituali periodici. Sono in pietra locale, tenera (arenaria o tufo), rappresentano cippi (le più antiche) o piccoli tempietti che contengono la rappresentazione della divinità.
In letteratura, dividiamo i monumenti votivi in cippi e stele funerarie.
Il cippo semplice è una pietra aniconica non molto lavorata, dove prevale l’altezza sulle altre dimensioni e rappresenta direttamente la divinità. È posto come segnacolo per individuare la fossa, infissa nel terreno o posta sopra un basamento in pietra. A volte i cippi sono montati su basi attraverso incastri. Queste basi sono costituite da un plinto tronco piramidale, sormontato da un listello rettangolare con sopra una gola egizia, (un elemento lapideo aggettante egizio acquisito dai punici). Alcuni cippi possiedono elementi simbolici come quello di Tanìt ma non conosciamo l’evoluzione di questo segno. Lo troviamo in contesti funerari, sacri, abitativi e altri, quindi un segno con molti significati. Fra i cippi più antichi abbiamo quelli che rappresentano un trono, (stele trono e cippi trono), a volte evocato da una semplice sgusciatura che separa la spalliera dalla seduta, altre volte con i braccioli e con il simbolo divino aniconico al centro. In questi casi, cioè quando una pietra sacra si trova sul trono, parliamo di “betilo” (casa del Dio). In qualche caso un “idolo a bottiglia” sostituisce il betilo. Nell’ambito del VI a.C. possiamo trovare i cippi trono posti su basamento. Il trono può essere affiancato da due bruciaprofumi. Questi monumenti sono documentati in pochi siti: Cartagine, Mozia, Solunto e Tharros.
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