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Sardegna nuragica. Elementi, animali e colombelle rappresentati nelle navicelle bronzee
Creato il 03 ottobre 2013 da Pierluigimontalbanodi Pierluigi Montalbano
Fra le strutture presenti in coperta su alcune navicelle di età nuragica si notano le barrette bronzee, cosiddette di rinforzo. Il Crespi nel 1884 scrive: “dall’archetto di sostegno fin sull’estremità delle corna, posavano simmetricamente, in senso obliquo, due aste quasi cilindriche che si potrebbero prendere per due antenne d’albero in disarmo o due remi. Quindi elabora l’ipotesi dell’albero a doppia antenna, temporaneamente smontato come d'uso sulle navi antiche. Vi sono inoltre le protomi prodiere: tutte le navicelle oggi conosciute, qualunque sia la foggia dello scafo, mostrano traccia di un prolungamento della prora ornato da una protome animale che riproduce in modi diversi il toro (o il bue), il cervo (o il daino), l'ariete (o il muflone). Il toro è la figura predominante.
Molto varia è poi la tipologia delle corna, nelle quali gli artigiani si sono sbizzarriti, per Lilliu, “nell'inventare forme, posizioni, movimenti vari, per lo più naturali rendendole col modellato per lo più robusto ma non pesante e di solito elegante nelle linee bellamente ricurve”.
Anche la lunghezza e l'orientamento del collo presentano una ricchissima casistica, variando da inclinazioni perfettamente orizzontali ad altre esattamente verticali. Non è da escludere l'ipotesi che la protome, saldata per ultima alla prua, fosse poi modificata nell'orientamento, deformandone il collo, per bilanciare in modo micrometrico la navicella.
Dal punto di vista nautico le protomi delle navicelle sarde, di generose dimensioni, paiono nella maggior parte dei casi inadatte alla navigazione. Nel maggior numero dei casi le protomi venivano fuse a parte e solo in un secondo momento saldate alla prora, con tecniche diverse. Si possono riconoscere le tecniche d'unione “a manicotto”, più diffuse sulle barche del tipo V, e le tecniche a “piastra saldata”, più comuni sugli scafi ellittici. Nella tecnica a manicotto la protome è innestata tramite un bottone o spinotto in un corrispondente alloggiamento. Nella tecnica a piastra saldata la protome presenta all'estremità inferiore del collo una flangia triangolare che è adattata, saldandola, alla prora dello scafo, formando in tal modo una sorta di gavone.
Anche altri animali, oltre le colombelle e quelli raffigurati nelle protomi, sono presenti su alcune navicelle sarde. In una da Nuoro appare una scimmia; in un’altra da Abbasanta Lilliu pensa di riconoscere un topo o un ranocchio; in quella da Bultei la battagliola è ornata da due cani; nella famosa navicella del Duce (da Vetulonia) Lilliu descrive due anatrelle, un riccio, alcuni cani, un suino, un torello con le corna giovani, una pecora e un animale sdraiato e disteso per lungo sull'orlo. Sempre Lilliu ritiene “la navicella da Vetulonia, come le analoghe, un esempio di battello da trasporto di lunga navigazione per la forma e le dimensioni, ma non certamente per l'ornato plastico, che non ha relazione alcuna con animali trasportati per mare. A quale scopo caricare cani e cinghiali?”. Tuttavia lo scopo c’è: i cani sono animali da caccia e per la difesa personale, mentre i cinghiali erano preziosi per la carne e il grasso. I cinghiali possono essere addomesticati se catturati da piccoli e perciò potevano diventare una merce. Inoltre i denti e le zanne erano ottimi talismani per la loro forma lunata.
Diversamente vanno interpretate le colombelle che spesso ornano la sommità dell'anello di sospensione. Esistono sostanzialmente due linee d’interpretazione: una fa capo al Lamarmora che considera le colombelle animali esclusivamente simbolici e sacri dedicati a Venere; l'altra, del Crespi, che legge nei volatili anche un significato funzionale e allude alla avventurosa scoperta della terra, mediante la direzione segnata dal passaggio delle emigrazioni di certi volatili. La tesi ricorda come non si può escludere che le colombelle rappresentate avessero più che funzione rituale valore pratico, “per il loro sapersi dirigere, se liberate, verso casa e che i marinai di legni a vela usavano talvolta liberare le colombe quali vivi, anche se muti e romantici, messaggi di favorevoli navigazioni”. Il navigante, fuori dalla vista della terra, faceva uso di uccelli che liberava da una gabbia e seguiva nel loro volo per raggiungere l'approdo. Questo metodo, noto nel viaggio degli Argonauti (Apollodoro), è lo stesso raffigurato su di un sigillo babilonese, seguito da Ut-Napitshstim (il Noè babilonese) nella leggenda del diluvio, e dai suoi successori biblici. La tesi trova ulteriore conferma nelle navicelle sarde dove la colombella si trova quasi sempre in cima all'anello di sospensione, correlata alla presenza dell'albero o del semialbero.
Personalmente ritengo che la parte sommitale degli alberi racchiuda un significato simbolico fortissimo: il nuraghe, il simbolo del sole (da alcuni considerato un appiccagnolo per appendere le barchette) sormontato dal simbolo della luna crescente, ossia le tre rappresentazioni ideologicamente più forti nella religiosità nuragica.
Nelle immagini:
In alto la cosiddetta "Arca di Noè".
Al centro la grande nave con doppio giogo di buoi sul ponte.
Sotto un disegno dal mio libro sulle Navicelle Bronzee del 2007.
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