Sono giorni tristi. Paura, confusione, dolore. Qualcuno ci fa la morale, dicendo che se siamo disperati per quello che è accaduto a Parigi, dovremmo far altrettanto con gli immigrati clandestini che affogano da barconi il cui superlativo è troppo per la mole di persone che contengono.
Io non me la sento di giudicare, né di schierarmi da una parte o dall’altra, o di fare approfondite indagini socio politiche del perché i terroristi hanno scelto una zona come l’Undicesimo per compiere gli atti terroristici, anziché centri del potere come la ricca e semivuota Parigi ovest. Forse perché sparare nel mucchio della fete del venerdì sera è più facile che andare a casa di ricchi e influenti politici, semplicemente. Forse perché, invece, era chiaro a chi i terroristi volevano mirare: ai bobo, alla nuova classe dirigente, cittadini sì normali, ma di un ceto medio che cerca di farsi avanti, studiando, impegnandosi, andando a vivere altrove, come ha scritto di recente Giacomo Sartori su Nazione Indiana.
Sento di non sapere più nulla, ormai, un nichilismo che mi è dato dalla totale incapacità di prevedere atti di questo tipo, nonché dal fatto che ho vissuto in quella città, che dà e prende tanto. So però che tra i miei contatti su facebook, una ragazza conosceva Valeria Solesin, che Valeria avrebbe potuto tranquillamente rientrare nelle mie variegate amicizie parigine, dove gli italiani si ritrovano come in un clan senza fatica, così come chissà quante altre persone morte ammazzate, francesi o stranieri che fossero.
Mentre scorro con preoccupazione i nomi delle vittime degli attentati, con l’ansia di chi vive lontano da così tanto tempo che gli amici potrebbero essersi dimenticati di avvisarlo, leggo le professioni di questi. Le loro età. Le provenienze. E capisco che non hanno guardato in faccia nessuno. Che, una volta di più, ci sarei potuta essere io – avevo anche un amico, che viveva in rue de Charonne; andavo regolarmente nella zona degli attentati, sul canale Saint Martin, anche se non sono mai entrata al Bataclan -, che non avrebbero avuto nessuna pietà, che tra le vittime c’erano anche marocchini.Che la distanza siderale che può mettere la quotidianità e le ansie della vita di tutti i giorni a questi momenti svanisce in un secondo che dura quanto la raffica di un kalashnikov.