Magazine Diario personale

Sarebbe un vero lusso

Da Icalamari @frperinelli

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Stanno rientrando dalla maternità un certo numero di colleghe (segno forse che l’amore si fa meglio in inverno? Confesso di non avere preferenze) che soffrono come ho sofferto io fino alle lacrime per aver lasciato i bambini a casa o al nido in mani forse capaci, forse affidabilissime, ma diverse dalle proprie.

E io le consolo avvertendole che, i primi mesi, complice la natura (ovvero le mutazioni del nostro dna che hanno permesso finora alla specie umana di perpetrare la propria permanenza sul pianeta), si arriva ad avvertire come addirittura indispensabile (con tutte le gradazioni che la molteplicità dei caratteri umani comporta) il quasi-annullarsi nella cura del nuovo nato, pena il patimento di un senso di sconfitta e tradimento (di sé!) difficili da spiegare a chi non viva dall’interno quegli stessi stati d’animo. Ma che, una volta rientrate al lavoro, le mamme possono finalmente rilassarsi rispetto ai doveri famigliari, ritrovare una dimensione che le privilegia come individui, anche se per poche ore al giorno. In poche parole ragazze, relax: passato qualche tempo non la si vive male.

E se la mia collega che, a differenza di me, è dirigente, abita a un tiro di schioppo dall’ufficio e può contare su un aiuto a  casa, ogni mattina all’alba prepara i pasti quotidiani per tutta la famiglia e torna a pranzo per trascorrere un’ora con i suoi bambini, è perché a lei piace cucinare, sì, ma anche perché se lo può permettere.

Io non posso, e mi dispiace molto. Perché offrirei un piatto di spaghetti scotti, un pollo bruciacchiato e insalata in busta, già mondata e lavata, ma avremmo tutti il piacere di essere presenti nelle reciproche esistenze.

Basterebbe rivederli a metà giornata per una sola ora, invece che undici ore dopo essermi chiusa il portone alle spalle e compiuto il mio tran tran, finito il loro tempo pieno a scuola, e dopo i compiti e tutte le attività ludico-sportive con cui si riempiono le giornate.

Un’ora e basta, poi tornerei ai casini del lavoro con tutto un altro spirito.

Ma io non posso farlo, per questo, in pausa, spesso mi distraggo nella palestra qui vicino, seguendo le indicazioni dell’istruttore che intende trasformarmi il fondoschiena in “uno zainetto come quello delle brasiliane” (parole sue), così da farmi sentire all’altezza delle aspettative del mondo, nonché dei media, sulla donna (come mi ricordava un amico qualche giorno fa, con la differenza che questa pressione sociale io vedo che investe molto i cosiddetti adulti, mentre i giovani mi sembrano ancora piuttosto coerenti con il loro stato di normalmente giovane stupidità).

Ne farei a meno, potendo, di questi riempitivi posticci. Io, come altre mie colleghe e amiche e come la maggioranza delle donne lavoratrici di questo paese.

Invece ci ritroviamo tutte lì in palestra a tornirci il culo a guisa di zainetto.

Mi sono informata: non vedo la tv ma ciò internette, come tu sai, amico. A che pro una ventenne, ma di più una che potrebbe essere sua madre, dovrebbe ambire a figurare bene di profilo, mentre lecca avidamente il martello del dio Thor (che poi a me fa schifo anche solo l’odore di ferro che lasciano i pesetti sulle mani)?

È così che si perde di vista in massa il senso ultimo di tanti aspetti della vita quotidiana.

Aspetti che non avrebbero bisogno né di una difesa strenua né dichiarazioni di dissociazione, ma solo della possibilità di venire scelti o non scelti, ed eventualmente di modulare con serenità i tempi e i modi del loro svolgimento da parte della donna e, perché no, dell’uomo di famiglia.

Come sarebbe bello se la politica si occupasse anche di questo.

Ecco, io l’ho inteso in questo senso, il discorso della Boldrini.


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