«Posso confermare che Zavarov è tra i membri della FFU che sono stati richiamati» , ha dichiarato il rappresentante della Federcalcio ucraina Pavel Ternovoj all’agenzia R-Sport, che è parso anche glissare sull’obiezione di coscienza dell’ex campione: «C’è una guerra in corso, e ogni cittadino dovrebbe capire cosa sta succededo. Ciò che decideranno di fare coloro che hanno ricevuto la chiamata alle armi spetta solo a loro».
Per far fronte alla dèbacle militare nelle regioni orientali, dallo scorso gennaio l’Ucraina ha avviato un massiccio richiamo di riservisti di età compresa tra i 25 e i 60 anni, allo scopo di disporre subito di almeno 100mila nuove reclute. Ma da stessa ammissione dello Stato Maggiore, Kiev si è trovata dinanzi a numerosi casi di rifiuto della chiamata alle armi, tanto che già 7.500 ucraini sono finiti sotto processo per diserzione. A Zavarov potrebbe toccare la stessa sorte, a meno che non decida di espatriare in Russia, dove Putin ha promesso aiuto e sostegno a tutti coloro che disobbediranno al governo di Kiev.
Il njet di Aleksandr “Sasha” Zavarov alla guerra rappresenta un duro colpo per l’Ucraina, proprio perchè giunge da un personaggio che fino a ieri era considerato un eroe nazionale e simbolo di unità, considerato il suo idioma. Stella della gloriosa Dinamo Kiev degli Anni Ottanta, che tra il 1986 e il 1989 costituiva i dieci undicesimi della nazionale dell’Urss, Zavarov era il simbolo del nuovo calcio sovietico assieme ai vari Mikhailichenko, Belanov, Protasov e Litovchenko, giusto per citarne alcuni.
Erano i tempi d’oro del rivoluzionario Valerij Lobanovskij, patito di calcio prima ancora che colonnello dell’Armata Rossa, che da tecnico della Dinamo era riuscito a tirar su una generazione di giovani campioni e a trasferire in blocco la loro classe nella nazionale maggiore. Si parlò allora della perestroijka del calcio, e non solo per i nuovi schemi europei di Lobanovskij: il nuovo corso gorbacioviano aveva infatti concesso anche ad uno sparuto gruppo di calciatori sovietici di poter giocare all’estero. Zavarov era tra di loro.
Nell’estate 1988, con l’abilità diplomatica degna del miglior ministro degli Esteri, Gianni Agnelli riuscì a convincere i sovietici a lasciar partire il biondo centrocampista ucraino alla volta di Torino. Non fu semplice, dal momento che Zavarov era allora un militare e che per il nullaosta all’espatrio (neanche certo, peraltro), occorevano mesi di garbugli burocratici: l’Avvocato mise in campo tutte le credenziali politiche che la FIAT aveva accumulato presso il Cremlino in oltre dieci anni di rapporti industriali bilaterali, e riuscì nel suo intento.
Nell’agosto di quell’anno Sasha Zavarov diventava un giocatore della Juventus: ci sarebbe rimasto per due oneste stagioni, nelle quali non incantò le folle: non era Platini, ma nemmeno un “fenomeno parastatale”, per dirla con la Gialappa’s. Sicuramente nella memoria di tutti, più che i suoi gol, resta il suo volto stralunato alla conferenza stampa di presentazione, quando guardando la sala stipata di giornalisti, telecamere e fotografi chiese se davvero erano venuti tutti lì per lui: gli Annales del calcio lo avevano consegnato alla Storia del pallone con il ruolo di pioniere sovietico in quello che, allora, era il campionato più bello e ricco del mondo.