Oggi, mentre come tutti, o quasi, praticavo il rito pagano del Natale enogastronomico, uno dei mie commensali ad un certo punto, e non so nemmeno perché, ha pronunciato la parola “Sassicaia”. “Sassicaia cheeee…?”, ha replicato, sbarrando gli occhi, una cara amica, chiamiamola così, che stava con me. Già, Sassicaia che? Insomma, per farla breve, lei non sapeva a cosa stesse alludendo il suo vicino di piatto. Eppure è una persona che appartiene alla cosiddetta classe media, una professionista stimata e di buona cultura che vive dalle parti Roma, una vita sociale piuttosto attiva, tanti interessi, tanti viaggi e molte curiosità. Anche per il vino. Ma insomma ha confessato di non aver mai sentito parlare di Sassicaia. Questa cosa mi ha fatto ripensare a quello che, l’altro giorno, scriveva in un commento Roberto Giuliani, direttore della rivista Lavinium. Che invitava i cosiddetti comunicatori del vino, ma il discorso si potrebbe estendere a parecchi altri ambiti, ad usare un linguaggio comprensibile e non troppo specialistico: “Io vorrei che per una volta ci mettessimo dalla parte di chi di vino non ne capisce nulla o quasi (che è la maggioranza) (…) L’errore nostro è quello di pensare che “il resto del mondo” abbia lo stesso interesse e la stessa voglia di approfondire che hanno gli appassionati o gli esperti del settore. Non è così, non lo è nemmeno per il cibo che è cosa ben più necessaria rispetto al vino. Allora dobbiamo smetterla di essere autoreferenziali, se vogliamo che aumenti l’interesse e il numero degli appassionati (e quindi acquirenti, perché alla fine di questo ha bisogno chi produce vino), dobbiamo essere più chiari e semplici possibile...”. L’esclamazione della mia cara amica (“Sassicaia cheeee…”), oggi, mi è sembrata rivelatrice. Spesso c’è un qualcosa di autoreferenziale nel linguaggio che usiamo e nelle argomentazioni che svolgiamo (il discorso vale in primo luogo per Cosimo). E mi rendo conto che spesso, troppo, mentre scriviamo di vino diamo per scontato ciò che invece scontato non è. Immaginiamo di rivolgerci ad un mondo che ha i nostri stessi interessi e le nostre stesse competenze (?). E, evidentemente, sbagliamo. E per chi si occupa di comunicazione questo è un errore fatale. Perché rischiamo di allontanare, anziché avvicinare, i nostri (potenziali) lettori. Insomma, questo Natale ha insegnato qualcosa anche a Cosimo. Speriamo ne faccia tesoro!
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