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Sassolini nella scarpa – 1: I nostri marò in India

Creato il 07 marzo 2012 da Alphaville

Danno un fastidio… vero? Allora me ne tolgo qualcuno.

Comincio dall’ultimo, appena entrato e già così molesto: i marò italiani prigionieri in India.
Come sempre succede in questi casi, siamo diventati tutti esperti — di diritto marittimo, diritto internazionale, diritto delle genti, arte diplomatica, competenze ministeriali, geopolitica, massimi sistemi eccetera. Non m’immischio neanche: di fronte a tanti dotti non potrei che fare una ben magra figura.
Allora mi limito a fare le mie osservazioni da un punto di vista differente.

Per esempio, mi pare che in questo caso specifico non si fosse in presenza di un conflitto dichiarato: i marò erano sull’Enrica Lexie — una petroliera, non dimentichiamolo — in una posizione assimilabile, pare, a quella di guardie giurate. Cioè nel caso in oggetto non erano in discussione cose alte e complesse come la difesa dei sacri confini della patria o la difesa a oltranza di cittadini italiani in quanto tali. La missione consisteva nel tutelare un carico mercantile. Allora possiamo dire che si è trattato di un’iniziativa militare inquadrabile nell’ottica della guerra preventiva che ha travalicato i limiti assegnatile? Forse.
Fatto sta che due civili disarmati sono morti — accoppati, dico, non per cause naturali. E giustamente la nazione di appartenenza dei due vorrebbe sapere per favore chi è stato e perché. Oggettivamente, non mi sembra una gran pretesa. (Poi naturalmente si può discutere su tempi e modi di conduzione della faccenda).

Detto questo, siccome ho buona memoria non posso non ricordare altri casi che m’inducono a sospettare l’esistenza strisciante, in questa nostra Italia, di una seccante bipartizione — cittadini di serie A e cittadini di serie B. Intendo che ci sono cittadini italiani in difficoltà per cui sbattersi, e cittadini italiani in difficoltà per cui prendersela comoda. Non parlo qui del caso di Silvia Baraldini, perché qualche anima bella potrebbe turbarsi per l’appartenenza della stessa a un partito rivoluzionario d’oltreoceano — lo statunitense Black Panther Party. (Curiosamente, come ho potuto constatare nel corso degli anni in occasione delle manifestazioni pro-Baraldini, quelle medesime anime belle non hanno mai fatto un plissé per l’esistenza e l’operatività del partito secessionista nostrano che risponde al nome di Lega Nord). La quale Baraldini, va detto per gli smemorati e i distratti, era imputata di concorso in evasione, associazione sovversiva, due tentate rapine e ingiuria al tribunale. Una criminale sanguinaria, insomma.

Dunque non parlo di Silvia Baraldini. Ma parlo invece di Enzo Baldoni, il giornalista morto ammazzato in Iraq nell’agosto 2004 nella totale indifferenza del suo governo e accompagnato dal criminale dileggio di galantuomini della risma di Vittorio Feltri e Renato Farina (proprio lui, l’agente Betulla).

E parlo anche dei tre medici di Emergency arrestati nell’aprile 2010 in Afghanistan con l’accusa di connivenza con Al Qaeda.
Nell’occasione il ministro degli Esteri Frattini li tacciò di terrorismo, e il senatore Gasparri li definì “una vergogna per l’Italia”, suscitando perfino la nettissima presa di posizione del generale Fabio Mini — ciò che già allora mi suscitò qualche perplessità sul senso della parola “Stato” corrente in Italia.

In conclusione, al momento non mi va di pormi troppe domande su sovranità nazionale e competenze giurisdizionali: sono troppo impegnata a cercare di capire perché, se tutti i cittadini italiani sono uguali di fronte alla legge, alcuni di essi lo siano di più e meglio. E stavolta non so se Orwell mi sarà d’aiuto.


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