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Satura: quarant’anni dopo

Creato il 11 febbraio 2013 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Da Fralerighe n. 2

Satura: quarant’anni dopo
Nel 1971 usciva la quarta raccolta poetica di Montale, Satura.

Al di là della forma apparente di Canzoniere per la moglie morte, Drusilla Tanzi, questo volume raccoglieva un’idea di fondo che Montale ebbe il merito di concepire: la saturazione poetica. All’epoca, diceva il poeta, c’erano troppi poeti, e tutti ricalcavano le stesse idee, seguendo le correnti come fossero mode, utilizzando ora lo stile di uno, ora di un altro, andando a infoltire una sorta di schiera poetica di serie B.

Sia chiaro, la cosa non era così evidente come può apparirci oggi. Il mondo letterario degli anni settanta – ma di tutto il novecento in generale – era fervido di inventiva e vivo negli ambienti delle riviste letterarie e dei loro salotti. Letteratura, a quei tempi, significava ancora qualcosa, significava una conce-zione di vita intellettuale che andasse oltre il mero studio degli autori passati e della pura vendita dei libri. Sebbene si fosse perso da tempo il vate come intellettuale capo, si poteva ancora considerare un’epoca d’argento, se non d’oro, per scrittori e poeti.

Ma facciamo un salto di quarant’anni. Oggi siamo nell’epoca commerciale della letteratura. Oggi essere scrittore – nella mente di coloro che non lo sono – significa pubblicare. Il mondo intellettuale delle riviste è morto, e ne rimane solo una pallida traccia sul web, grazie ai web-magazine. Siamo comunque ben lontani dall’idea di società intellettuale, e lo stesso intellettuale è rinchiuso in ruoli marginali privi di alcuna importanza. Perché in fondo, chi scrive oggi?

No, non è la domanda giusta. La domanda è: chi viene letto oggi?

Non gli scrittori, certo.

Oggi sono i tecnicisti della scrittura a vendere, poiché scrivono essenzialmente per questa ragione. Persone che scrivono per l’unico scopo di pubblicare, di vendere, di guadagnare. Che importa che i loro libri sono vuoti di significati, ricchi di fumo negli occhi e specializzati nell’abbindolare una precisa fascia di lettori?

E la colpa, ahimè, non è neanche loro. La colpa è bipartita fra noi lettori e gli editori. Entrambi, chi in un modo, chi in un altro, ha permesso a queste persone di sfruttare la gallina dalle uova d’oro, gallina che noi stessi abbiamo creato. Come al solito, chi è causa del suo mal, pianga se stesso.

E così, quarant’anni e qualche mese dopo Satura, ci ritroviamo nello stesso fenomeno di saturazione letteraria, dove la schiera di scriventi – non scrittori – è di serie C.

Nel creare quella famosa gallina, abbiamo invogliato coloro che non sapevano che fare a scrivere un libro. Come se scrivere un libro fosse una cosa da tutti. Eppure oggi si scrive, tanto da avere più scriventi che lettori, e abbiamo il mercato saturo di spazzatura pseudo-letteraria. Le grandi case editrici pubblicano pochi libri di qualità e una moltitudine di volumi di alta fruibilità ma basso valore intellettuale o letterario. Ma non è finita qui.

Dal sito dell’AIE (Associazione Italiana Editori), risultano in Italia oltre 7.500 case editrici, di cui meno della metà sono attive, per un totale approssimativo di 55.000 titoli l’anno. Un numero esorbitante, se si pensa che ognuno di noi, anche il più informato, conoscerà al massimo trenta case editrici.

E quante di queste arrivano in libreria?

Nella narrativa di genere, che è quella di cui ho più esperienza, vedo meno di dieci editori sugli scaffali nel Fantasy – che è un genere di moda – meno di cinque sulla fantascienza, e una media fra i due nell’horror. E parliamo di grandi collane come Feltrinelli e Mondadori, che detengono gran parte del mercato librario cartaceo.

Dunque che fine fanno le restanti migliaia di case editrici? Dove appaiono i loro volumi?

Ed ecco, di nuovo, la saturazione.

Satura: quarant’anni dopo

Il mondo letterario è saturo in ogni suo aspetto, tranne quello fondamentale. Ci sono troppi scriventi, editori, agenti letterari, ma pochi lettori. E qui non c’è nulla da fare. L’Italia dovrebbe essere un paese di cultura, il paese che ha dato al mondo il più grande poeta di tutti i tempi, l’esule Dante Alighieri. Eppure i lettori saltuari sono pochi, infimi a confronto quelli abituali. A conseguenza di ciò i prezzi salgono, ma nessuno se ne rende conto, e si continuano ad aprire case editrici, la maggior parte delle quali non vedrà neanche la pubblicazione del primo libro.

Cosa rimane, dunque?

Nulla, se non la rete. Abbandonare le librerie per scegliere di persona i nostri libri, non scegliere fra i pochi che vengono scelti per noi. Se le vendite della spazzatura calerà, forse verrà usato un metro migliore per la selezione, e si potrà pian piano riallacciarci a una futura – sebbene lontana – età d’oro della letteratura.

È un’utopia, certo, ma le cose spesso cambiano. Non dall’oggi al domani, non quest’anno, non il prossimo. Ma nulla è immutevole, e com’è cambiata l’era in passato, di certo cambierà ancora.

Spero solo di esserci ancora per vederla.

Maurizio Vicedomini



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