«Si tratta di morire irreconciliati, e non già in pieno accordo».
Camus lo lessi diversi anni fa. E dire che lo lessi è un’affermazione grossa. Lo straniero, La peste, Il mito di Sisifo. Null’altro. E, soprattutto, lo lessi senza sapere nulla di lui. E così, l’immagine che mi ricorda Camus è quella del sangue che impregna la rena rovente, cui si ispirarono anche i Cure nel loro primo singolo, Killing an Arab. È quella un’uccisione avvenuta lì, sulla rena, appunto. E non so neppure quanto questa immagine sia rispondente al vero. Perché non ricordo più nulla.
Allora compro Camus deve morire e inizio a saperne di più. Il libro, come il titolo già ci avverte, si focalizza su un momento particolare della vita dello scrittore. O meglio, su un’interpretazione precisa della sua morte. Il 4 gennaio del 1960, infatti, Albert Camus morì in un incidente d’auto. L’auto la guidava Michel Gallimard, il suo editore, morto anche lui alcuni giorni più tardi per le conseguenze dell’incidente. La moglie di Gallimard, Janine, e la figlia sopravvissero. Del loro cane, se non sbaglio, non si seppe più nulla. L’incidente avvenne su un grande rettilineo che corre nella campagna francese, a sud di Parigi. In quel punto la strada è bordata di platani. Alberi imponenti. E minacciosi.
Camus morì in un incidente d’auto. E Camus aveva dichiarato che la più assurda delle morti fosse appunto quella provocata da un incidente d’auto. Sembrava che l’avesse profetizzata, questa cosa. Ma le profezie di Camus, in merito alla sua morte, le tragiche coincidenze che riusciamo a mettere in fila prima di quel 4 gennaio sono molte altre. Ad esempio, in quell’ultimo viaggio, Camus e Gallimard discussero di assicurazioni sulla vita. E all’editore, che voleva stipularne una, lo scrittore replicò che a loro, entrambi tubercolotici, difficilmente qualcuno avrebbe mai stipulato una polizza. In più, viaggiando, si trovarono d’accordo sul fatto che, se fossero morti insieme, si sarebbero fatti imbalsamare e collocare nel salotto di Janine… Se fossero morti insieme. Camus, inoltre, alcuni giorni prima scrisse una lettera in cui comunicava il proprio rientro per quel giorno, salvo i rischi dell’auto. Salvo i rischi dell’auto.Ma Camus non era un profeta, per quanto la sua capacità d’analisi fosse decisamente superiore alla media. E allora, piuttosto che sposare l’ipotesi di un mago che divina la sua stessa morte, ripieghiamo sull’altra teoria, quella che vuole che qualcuno su questa “profezia” ci avesse seriamente lavorato. Per farla avverare. E, leggendo Camus deve morire, il nemico numero uno dello scrittore emerge chiaramente, ed è potente come pochi. È una Russia opprimente e sanguinaria, contro cui Camus stava ridestando la coscienza collettiva europea analizzando il caso ungherese dalle pagine dei quotidiani, nei dibattiti studenteschi, facendosi portavoce delle rivendicazioni ungheresi presso la classe intellettuale. L’Ungheria era sotto il giogo sovietico, «isolata in una fortezza di morte», assassinata e oppressa. E Camus ricorda quale sia l’unico valore per cui si possa e si debba combattere in una simile circostanza: «Il valore supremo, il bene ultimo per il quale valga la pena di vivere e di combattere, resta sempre la libertà». Quella libertà, anzi quelle affermazioni libertarie, Camus le pagò con la vita, e quando fu inumato a Lourmarin, giunse una corona che recava la scritta: “A un amico dell’Ungheria, gli ungheresi in esilio”.
Questa non fu l’unica “occasione” in cui Camus irritò la Russia. Tracce dell’omicidio dell’autore riemergono infatti da tutt’altra parte, fra le memorie del traduttore ceco Jan Zábrana, che a fronte di rischi grandissimi volse nella propria lingua madre Il dottor Zivago, un’opera con una storia editoriale tormentatissima: censurata in Russia, pubblicata per la prima volta – anche in russo – in Italia, portata di nascosto in Cecoslovacchia, osteggiata con tutte le forze dalla grande madre Russia… e sostenuta con tutte le forze da Camus, che diede a Pasternak tutto il proprio sostegno, e al potere sovietico un ulteriore schiaffo in faccia. Ecco, da sola la storia di tutti questi passaggi, di cose che giacciono dimenticate per anni per poi dare illuminazioni inequivocabili sulla verità ti tiene avvinto, ti mette voglia di sapere, di approfondire. E forse, ultimata la lettura di Camus deve morire, riprenderai in mano tutti i suoi libri. Li leggerai. E ti dirai che sì, è stato un male non farlo prima.
Note bibliograficheGiovanni Catelli
Camus deve morire
Nutrimenti
Roma, 2013
Dietro la morte di Albert Camus, premio Nobel per la letteratura e intellettuale politicamente attivo negli anni della guerra fredda, sembra celarsi un mistero. Fu il Kgb a provocare l’incidente d’auto che gli costò la vita? E perché? In occasione del centenario della nascita dello scrittore francese, questo libro indaga nelle crepe della ricostruzione ufficiale alla ricerca di una difficile verità, ricomponendo l’aspro clima di un’epoca che ha lasciato un segno profondo nella cultura europea.