“Vieni via con me”. È Roberto Saviano che te lo chiede. L’ha chiesto a oltre mille persone, ieri sera alla libreria Feltrinelli di Bari, per la presentazione dell’omonimo libro.
Misure di sicurezza ai massimi livelli per lui e ore di fila per il pubblico, che in parte si è dovuto accontentare di un maxischermo in via Melo. Ma poco importa, la passione (e anche un po’ di incredulità nel trovarsi davanti a una folla che farebbe invidia a più di una persona) che si legge in quegli occhi neri, profondi e magnetici e l’amore, la pulizia, la trasparenza che emergono dalle sue parole ripagano della stanchezza. È cibo per l’anima.
Impossibile resistergli, quando lo ascolti raccontare le tragedie e le miserie umane come fossero una fiaba, nera ma nello stesso tempo più vera della realtà stessa. Lo segui nel racconto e, appunto, vai via con lui, nei retroscena del mondo, che il Potere non vuole farti conoscere. Lui, invece, vuole. Perché la conoscenza è l’unica arma di difesa che abbiamo e di cui il Potere ha paura.
Non a caso, i nazisti bruciavano i libri. E allora arriva la diffamazione, la macchina del fango, per usare un’espressione tipica degli ultimi tempi, ma decisamente calzante, che cerca di distruggere chi è credibile, perché non ha altri strumenti per smentire il racconto. E quel che è terribile è che “l’elemento della diffamazione è la verosimiglianza, l’insinuazione del dubbio, del gossip, l’uso della superficialità, che ti colpisce perché tu non farai mai il loro gioco”.
Quella macchina che ha investito e travolto Giovanni Falcone, riabilitato solo dopo la strage di Capaci, Giancarlo Siani, Don Peppe Diana, Pippo Fava, Peppino Impastato, Rosario Livatino, Rocco Chinnici, Antonino Caponnetto, tutti uccisi perché avevano contrapposto la diffusione della verità alle trame del Potere. E ancora Anna Politkovskaja, la giornalista russa assassinata il 7 ottobre 2006 perché aveva raccontato la guerra in Cecenia, un conflitto dimenticato dal mondo, con empatia, trasformando un incubo lontano in una storia vicina a tutti, con la potenza delle immagini, dei dettagli, della rappresentazione dell’essere umano, come la maestra che cerca di far bere ai suoi alunni il latte materno per salvarli dalla disidratazione, nella tragedia della scuola elementare di Beslan sequestrata dai guerriglieri ceceni.
“Mi dispiace molto – dice Saviano a questo proposito – che, quando il Potere italiano incontra quello russo, non ci sia mai una parola di ricordo per i giornalisti morti (o meglio, c’è stato una volta il gesto di un mitra da parte del premier Silvio Berlusconi, ndr)”. E c’è un’altra Anna, vittima del Potere che uccide chi racconta, la poetessa russa Achmatova, distrutta dall’odio di un figlio che la incolpò per tutta la vita della sua incarcerazione a causa della madre oppositrice del crudele regime sovietico.
Sono storie tragiche, che vedono protagonisti proprio coloro che hanno votato l’esistenza alla narrazione. E il Potere ha paura del racconto, della cultura: “La libreria, dove ci troviamo adesso – sottolinea Saviano – è pericolosa perché ti permette di capire, approfondire, discutere ed è difficile condizionare chi conosce. Il Paese chiede rinnovamento e la rivoluzione sta partendo dalle librerie. Troppo spesso sottovalutiamo il potere della parola, che può diventare azione e impedire che certe tragedie accadano di nuovo”. Ma per raccontare e resistere alla macchina del fango è necessario non essere soli: “Il fango serve per convincere i tuoi amici che non sei una brava persona – dice lo scrittore, con la sicurezza di chi ha vissuto sulla propria pelle questa situazione – non quelli che sono già contro di te, il loro obiettivo è dire che sono tutti uguali. Per questo mettere tutti sullo stesso piano senza approfondire le questioni significa fare il loro gioco. Ci si salva solo difendendo chi è diffamato, dicendo “noi non vi crediamo”. Solidarietà, vicinanza, prendersi cura l’uno dell’altro, come diceva Danilo Dolci, attivista nonviolento: “Ciascuno cresce solo se è sognato”.
E Saviano senza dubbio resterà nei sogni dei Baresi, anche grazie all’elenco conclusivo dei ’10 motivi per cui sono felice di essere in Puglia’, una terra che, parole sue, gli è stata molto vicina e da cui può partire un nuovo pensiero meridionale che forse si può estendere al Paese: “Per i taralli e le briciole che rimangono alla fine, per sentire Puccini al Teatro Petruzzelli, per le ragazze che ballano la pizzica, perché è la terra dove è nato Carmelo Bene, perché quando arriva una nave con 20mila profughi come 20 anni fa la Puglia non ha paura ma accoglie, perché sono stato accolto qui 2 volte da Mario Desiati senza che nessuno lo sapesse, perché il Bari ha fermato il Milan, perché ho mangiato una teglia di orecchiette in spiaggia a Polignano, perché il vento e il sole possono tenere la Puglia lontana dal nucleare e perché il 29 marzo 2010 avrei voluto essere pugliese anche io”.
Antonella Paparella