Infatti, non appena finita l’era dell’anti berlusconismo, normalizzato il camorrista Cosentino, il cronista promosso ad intellettuale in virtù dei suoi meriti catartici e simbolici, l’uomo della legalità intesa nella sua accezione di destra, come egli stesso ammette, ha trovato aperte le praterie del gruppo De Benedetti, della Rai evasiva e di un’immaginaria “sinistra”per essere icona a tutto campo. Messo al posto di Giorgio Bocca a fare l’antitaliano pur senza averne né la penna, né il passato, né l’intelligenza, si accontenta di fare il soporifero moralista di rincalzo, di saccheggiare statistiche stranote per indigeribili mapazzoni e di essere il capo cane da guardia dello statu quo. Non importa quello che dice, tanto è stato minacciato dalla camorra, ha la scorta che persino qualche suo buon amico, di recente elevato a capo dell’anti corruzione, ritiene più d’immagine che di sostanza e in base a questo è preventivamente assolto da ogni peccato e reso intelligente per definizione.
Così è arrivato a scagliarsi contro la manifestazione anti Bce di Napoli trovando vecchi gli slogan, accusandola di miopia ideologica senza spiegare il perché e di non guardare a ciò che accade in “Spagna, Egitto, Siria, Iran, Russia, Turchia, Usa” ( tra virgolette perché non vorrei essere accusato di vacuità totale), con il solito metodo del ben altro, mai però illustrato e solo citato come esemplare inconsistente paragone. E insomma quello che non gli va è che a manifestare siano i gruppi della sinistra radicale napoletana perché troppo arretrati, fumatori d’oppio, qualche volta teneri con la camorra. E’ una vera ossessione o meglio l’eterno ritorno all’unica cosa per la quale il nostro cronista abbia una qualche legittimità ad essere vate. E una buona via d’uscita per tutto. Ora a dirla tutta quella manifestazione era tutt’altro che radicale, perché ancora una volta evitava il nodo del problema ( vedi qui), ma anche Saviano evita del completamente di entrare nel merito della questione e com’è costume dei conformisti dopo aver citato i comandamenti della democrazia, li ribalta in nome del suo animus fondamentale : “Come scrittore, mi sono formato su molti autori riconosciuti della cultura tradizionale e conservatrice, Ernst Jünger, Ezra Pound, Louis Ferdinand Celine, Carl Schmitt… E non mi sogno di rinnegarlo, anzi. Leggo spesso persino Julius Evola, che mi avrebbe considerato un inferiore”.
A me pare che come scrittore si sia formato sui fogliettoni del Mattino e su Ellery Queen, ma comunque sia da un vate ci si attenderebbe di più che regolare i conti con quell’antipatico antifascismo napoletano che forse avrà molti difetti, ma che chiede cose che non piacciono agli erogatori degli stipendi d’oro dell’Icona mondadoriana e debenedettina. Anche perché le questioni che riguardano l’economia, la Bce, lo scontro in Europa, la cessione di sovranità sono cose che riguardano tutti i cittadini e il futuro del Paese, non possono essere trattate con tanta futilità da strapazzo, nascondendosi dietro fumose e banali temini. Ma dire qualcosa di politico significa quanto meno sputtanarsi, cosa che non conviene a un mito che deve gestire l’educazione del popolo nei modi consueti del notabilato meridionale. Quindi si rifugia nel volgare concetto di modernità e di cambiamento nel senso banale e vuoto che va in voga oggi, così da sacrificare il suo pezzo di carne al renzismo e chiudersi nel silenzio come una sibilla reticente. Ma si sa che i vati smettono di essere uomini.