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“…Questo tipo di lavoro e arte sono rari, e quando, di tanto in tanto, si verificano, come in questa opera epica, rinsaldano la fiducia…” Parola di Sir Anthony Hopkins, che dedica a Bryan Cranston e a tutto il lavoro del cast di Breaking Bad stima profonda, detto da uno dei migliori attori di sempre c’è da fidarsi eccome. Ed in questo spazio faremo noi una dedica al superbo lavoro partorito dall’ideatore Vince Gilligan.
Alla visione della prima puntata della prima stagione rimasi colpito, non avevo mai visto niente del genere, una partenza che cattura innescando processi al di fuori del pensabile, anche per i più accaniti consumatori di prodotti televisivi. L’enigma di un uomo, Walter White, insegnante di chimica, che fa la dura scelta di darsi alla criminalità producendo metanfetamina: “It’s for the family” è il continuo richiamo che pian piano va scemando diventando schermo di qualcosa di più complesso, un procedimento che avviene nell’insospettabile essenza di un essere umano in realtà fuori dal comune, la contraddizione dello spettatore che è ormai affezionato ad un personaggio che ha di fatto abbandonato l’umanità per concedersi al mito, alla leggenda di Heisenberg, il suo super-io sepolto dal lavoro modesto, dalla famiglia e dalla superbia un po’ bifolca del cognato Hank, antagonista lungamente inconsapevole, e dall’azienda creata dal suo genio e derubatagli ingiustamente. Il lavoro sulla sceneggiatura e sui personaggi è stato un esperimento tanto rischioso quanto riuscitissimo, ottenendo un prodotto che vende ma di una qualità mai vista nel mondo delle serie televisive, facendo sentire in imbarazzo l’ideatore di Lost, che non si è trattenuto negli elogi alla serie, e soprattutto facendo rivalutare le potenzialità artistiche di un mezzo, quello televisivo, sfruttato quasi esclusivamente dal Dio Danaro. Ad esaltare il tutto ci sono le dicotomie interiori della moglie Skyler, che sfiorano l’onirico nella scena della piscina, il personaggio interpretato a perfezione da Aaran Paul, che alla fine ne esce giustamente come unica anima salva e redenta, purificata dai labirinti di sangue e criminalità perversa ed irrefrenabile (all’inizio era previsto che il suo personaggio morisse alla fine della prima stagione, dopo le prime puntate Gilligan se ne pentì subito); e poi ci sono le caratterizazioni dei criminali che presto potremo definire cult: il Tuco, Ector Salamanca, l’impassibile Gus Fring, il nonno-sicario Mike e l’incontenibile avvocato Saul, anima comica e di intelletto sopraffino, che sarà protagonista di uno spin off intitolato Better call Saul in uscita nel 2014.
Il doppio ego di Walter White/Heisenberg si districa nella propria volontà di potenza senza freni e con ritmo estremo, come i versi di Foglie d’erba di Walt Withman, una dedica che si rivelerà cruciale. Attraverso l’evocativo mantra Say my name, si sprigiona la potenza di un prodotto che va al di là dell’intrattenimento sfrenato, ma che si getta a capofitto nell’oscurità recondita dell’umanità tutta, pronta alle scelte più estreme fatte quando non c’è altra via d’uscita, che non comprende rimpianti o moralismi, nemmeno quando si tratta di mettere in gioco giovani vite. Quando ho finito di vedere la serie, mi sono reso conto di aver assistito ad una concatenazione perfetta di eventi, situazioni e personaggi, insomma di avere di fronte qualcosa di grandioso ed irripetibile. Come Anthony Hopkins, anche io, nel mio piccolo, ringrazio Bryan Cranston, per averci immerso in un dramma concepito da un Sofocle dei tempi nostri, le vette e gli abissi dell’animo umano raramente sono stati assaporati così ferocemente.
Il termine cucinare ora non ha più lo stesso significato, yo Mr. White.
By Antonio Romagnoli
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