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Scacco a dio, frasi [Roberto Vecchioni]

Creato il 26 novembre 2013 da Frufru @frufru_90
Non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato né un aspetto proprio né alcuna prerogativa tua perché quel posto, quell'aspetto e quelle prerogative che tu desidererai, tutto secondo il tuo voto e il tuo consiglio ottenga e conservi. Ti posi nel mezzo del mondo perché di là meglio tu scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. [Pico della Mirandola]

Scacco a dio, frasi [Roberto Vecchioni]

Le storie ribelli di chi vuol essere altro da sé.

- Il Vangelo è stato un atto di debolezza, una zappa sui piedi: voi dovevate dire ogni cosa nell'Antico Testamento. E che? Non c'era più spazio nelle tavole di Mosè? Lo si trovava: vi sembra un comandamento «Non desiderare la roba d'altri?»? E che desidero? La mia? Sapete cos'è successo? Ve lo dico io: «Scusatemi, scusatemi, avete presente quella storia che se mi ciechi un occhio io cieco il tuo? Si scherzava, non è vero, anzi, bisogna farsi ciecare pure l'altro»! Vi sembra credibile?
- Be', però il Vangelo ne ha avuto di successo!
- Una grande operazione di marketing, Signore: un bel mix di immagini strappalacrime e promesse elettorali. Un vero trappolone: «È vostro il regno dei cieli». Vedete del cielo, voi, qui intorno? Il cielo è tutta quella roba inutile laggiù in fondo che avete riempito di stelle: non sapete più che farvene!
«Sembra quasi che lo facciano per farmi dispetto, gli uomini: arrivati a un certo punto è come se s'incidessero un'altra linea della vita sulla mano. No, non parlo di peccati, quelli son minuzie: dico il corso del loro destino. È come se in un'immaginaria scacchiera non accettassero più le diagonali di un alfiere, i salti di un cavallo, le rette di una torre. E spacciano questa falsa libertà per uno scacco a me, uno scacco a Dio. Ecco cosa mi tormenta e cosa voglio capire: dove ho sbagliato?»
L'infinito è la fine delle attese senza perderne il desiderio, è il primo bacio continuamente ripetuto, è la luce che confonde il sonno e la veglia, è il giorno eterno, il più bello della tua vita.
I poeti non sono come lei immagina, non confondono il sogno con la realtà: i poeti guardano il mondo, sono nel mondo. Si aggirano in questi acquitrini, in queste paludes e vanno oltre per non caderci dentro.
- Perché - gli aveva chiesto - il vostro teatro è così inferiore alle vostre conversazioni? Voi scambiate gli amici per il vostro pubblico, ma così non è: sarebbe ora che imparaste a scrivere.
Lui non aveva fatto una piega:
- Sì, lo ammetto, - aveva risposto. - Le mie commedie non sono eccezionali, anche il Dorian Gray...è stato un po' una scommessa. Ma sapete, scrivere mi annoia a morte. Io tutto il mio genio l'ho profuso nella mia vita: nelle opere ci ho messo solo il talento.
- Non esiste ingiustizia divina, - replicò Wilde. - Quel che riteniamo ingiusto è solo il nostro amor proprio offeso. Solo gli uomini sbagliano, e in due modi: ritenere gli altri peggio di sé e ritenere se stessi, sempre e comunque, al di sopra degli altri.
- Dio - controbatté Gide - è il passatempo preferito della nostra mediocrità: una personalità che supplisca a quella che non abbiamo.
Gli uomini sono sempre inferiori alle loro idee.
Tra tutti gli esseri in natura solo agli uomini è dato di cambiare, cancellare e riscrivere.
A volte la vita prende le sembianze di un sogno e devi ricominciare tutto da capo come un neonato stupito e incredulo di non trovare la mammella della madre.
È una storia d'amore e d'arte, ma soprattutto di destini, di strade tracciate dal cielo, che a un certo punto non riconosciamo più e non vogliamo seguire, perché se l'uomo non è padrone dell'universo, come dice Bruno, è comunque e sempre padrone di se stesso.
Tutto a questo mondo si può cambiare, imparare, tranne il genio, l'estro. O ce l'hai o non ce l'hai. Il genio è come un marchio inconfondibile, ognuno si porta sulla pelle e nelle viscere il suo, che è suo e basta. Non puoi mutarlo, non puoi snaturarlo, perché se ci provi, inaridisce e muore, e tu con lui.
Dunque è questa la verità? Raccontare di sé attraverso un altro? O del mondo con le parole di un altro?
- Adoro il caso. Mi piace pensare che, voilà, possa capitare qualcosa che non era previsto. Il caso è ovviamente una mia distrazione, ma in apparenza, perché io so cosa significano tutte le cose che avvengono per caso. Io conosco tutte le tegole che cadon giù inspiegabilmente dai tetti fin dalla preistoria; i numeri dei biglietti vincenti di qualsiasi lotteria, tutte le combinazioni di tutti i casinò del mondo.
[...] Non ti è mai venuto il sospetto che l'errore imprevisto, inimmaginabile, sia proprio la prova della mia esistenza? Se le vicende degli uomini rispondessero sempre a una concatenazione mai disillusa di cause ed effetti, ciò dimostrerebbe che il mondo è regolato solo ed esclusivamente dalla meccanica della materia, dalla sua fisica, dalla sua chimica, ogni atto non potrebbe essere che la conseguenza di una precisa premessa: non spunterebbero, dietro la curva, camion contromano; non esisterebbero malattie inguaribili; non finirebbe, da un giorno all'altro, un grande amore. Un  mondo perfetto dimostrerebbe l'inutilità di Dio, ne negherebbe l'esistenza. Un mondo di apparenti errori, di inaspettate eccezioni ci dà al contrario la certezza della sua esistenza. In una natura che si è generata da sé ogni casualità è fuor di discussione, solo Dio mette in conto il caso: «La casualità è soltanto il travestimento assunto da un Dio che vuol passeggiare in incognito per le strade del mondo».
- Ma perché?
- Il caso è variazione, fantasia, umiltà della ragione; il caso ridimensiona il rigore dei fatti, il senso della storia, la presunzione umana di aver afferrato per le ali l'aquila del mistero. E così, ogni volta si ricomincia da capo, ogni volta torna tutto in discussione. Perché? Perché la felicità per gli uomini è nel non arrivare mai: trovare un limite, che da lì non c'è più niente da scoprire, sarebbe per loro la fine; e se il mondo si fosse creato da solo, le sue leggi, incalcolabili ma non infinite, prima o poi verrebbero tutte svelate e calerebbe la notte della ragione e dell'anima.
- Vedi, Alex, non c'è nessuna differenza tra vincere e perdere, quel che conta è sceglierlo da soli.
- Volevo le guerre di religione, gli atei, l'illuminismo: volevo i cattolici, volevo le riforme, volevo i ragazzi uniti a cento a mille leggermi nel Vangelo. Io volevo, ma son stati loro a fare tutto ciò. Non sanno. Si fermano alle note, ai segmenti che son dolore, ingiustizia e morte, e credono di definire il tempo da un attimo avulso, staccato. Naufragano in una goccia d'acqua che non può da sola spiegare cosa sia il mare. Io ti ho chiesto di parlarmi degli uomini, e precisamente di quelli che mi hanno sfidato e, secondo te, battuto: io, Teliq, non vinco mai con gli uomini, io permetto sempre di darmi scacco, perché siano loro a inventare la vita: perché questa è la loro libertà.
Ora è tardi, è presto, gli anni sono coriandoli buttati via, il tempo è fermo su tutti gli orologi, le stelle hanno visto, e come sempre non parlano, non lo diranno a nessuno; questo è il patto che hanno con gli innamorati.
La vita è passata come un corteo di figure inutili, a parte il tempo di quella finestra: è celebre e non ha un soldo, ha sognato troppo per vivere veramente.
- Io avevo sognato un mondo, Turoldo, in cui papa e imperatore se ne stessero in santa grazia, uno occupandosi del cielo, l'altro della terra: ci si sarebbe incontrati a mezza strada ogni tanto per scambiar le idee tra lieti conversari o più profonde chiose. Ma a quelli, Turoldo, non gli basta il cielo: la terra vogliono, e anche tutta.
- Ma lo capisci o no che io sono ogni cosa, che io voglio ogni cosa? Il cielo, quello ce l'abbiamo già, ma di chi è la terra? Io non posso salvare le anime, e manco so se lo voglio, se prima non possiedo i corpi. Io non posso predicare puro spirito: chi se lo beve più, chi se lo mangia? Io devo essere padrone della materia , delle cose, e prometterle al volgo senza dargliele mai e prometterle ai potenti per dargliele quando mi conviene. La Chiesa non è una fabbrica dell'aldilà: che preghino per questo; noi dobbiamo garantire che nulla cambi, che il mondo resti com'è, e per farlo lo dobbiamo avere nelle nostre mani.
- La salvezza non è nella fede, troppo facile caro Agostino, la salvezza è nel dubbio. La fede è come osservare una lastra riuscita male e vedere nella vaghezza delle ombre un volto nitido che non c'è: il dubbio è non guardarla nemmeno, la foto, e andar a cercare la persona del ritratto per vederla dal vero.
- Gli uomini devono credere a qualcosa!
- Più che giusto, ma credere non è chiudere gli occhi, è aprirli. Tu me lo insegni, tu l'hai insegnato per secoli ai tuoi allievi: non è che io ti ho mandato, o mando loro giù, perché gli uomini trovino la pappa pronta: no, no, devono spaccarsi la testa e il cuore prima di intravedere una luce, ché son più le volte che van dietro alla fiammella di un cerino.
- Devo chiedere una cosa a Dio.
- Ma se sei ateo!
- Essere ateo non significa che lui non c'è, ma solo che non ci credi. [...] Io ho bisogno di quel segno perché non sto vivendo la gioia di un'attesa, non ho una fede che mi assicuri di essere perlomeno ascoltato: sono immerso in una disperazione che deve trasformarsi in qualcos'altro. Io so di essere a un passo da quel salto: è come se una gran massa d'acqua premesse contro un forellino per venir fuori senza riuscirci. Qualcuno deve allargarlo. Io credo meno di lei ai miracoli, anzi, non ci credo affatto. Ma questa è una sfida senza ritorno: Dio, se mi vuoi, se vuoi che io ti veda, devi muovere tu per primo.
Ho accessi d'ira feroce e rabbia e voltastomaco. M'inalbero non per le grandi ingiustizie che nemmeno conosco, ma per l'imbecillità spicciola e quotidiana, per l'ignavia, e l'ipocrisia umana, sono scontento, sono disilluso, sono contro. E a volte me ne frego completamente.
Per la saggezza verrà il suo tempo: concediamo una chance all'età: non è possibile tenerla lontana dai sapori, dai suoni, dai profumi, dall'effluvio di vitalità e bellezza che ogni cosa emana.
Cos'è la mia poesia? Né il martello di un fabbro, né la striglia di uno stalliere. Consolano di più una carezza, un bacio, un abbraccio, una parola detta, viva, che non questo vaneggiare per versi: vuoi mettere una cena tra amici con una elegia?
Scrivo perché resti, perché questo è il mio modo di piangere.
Può un cavallo essere felice? Può. A voi uomini sembra impossibile, perché non potete leggerci dentro. Ma noi non abbiamo ieri e domani, noi abbiamo solo il momento che resta e non passa, quel che è stato non conta, quel che sarà non c'è: ogni frammento, ogni giorno fa parte a sé: ogni giorno di gioia è come eterno ed è quello il nostro segreto.
A voi uomini sembra impossibile, perché non conoscete la felicità.


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