Scrive, il vegliardo Eugenio, che quando pensa al giovanotto Matteo non gli viene in mente né Napoleone né Mussolini. Anche perché, diciamo noi, tali iperboli sono perfettamente innocue: involontariamente comiche in bocca agli esaltati che da qualche tempo vaneggiano di «dispotismo democratico», scherzose in quella di chi sa ancora spararle grosse con una certa finezza di spirito, come il sottoscritto, per fare un esempio a caso. Il perfido Scalfari, che vuol far male, pensa invece al Cinghialone: «Però mi viene in mente Bettino Craxi, quello sì, e debbo ammettere che non mi piace per niente. Craxi era un socialista, ma di destra non di sinistra. Era alleato della Dc…» Mentre il grande peccato di Renzi sarebbe quello di avere stretto un patto con Berlusconi. E tuttavia il vegliardo Eugenio non fa gli scongiuri, non si strappa i capelli, non lancia il suo grido d’allarme. Anche perché, diciamo noi, tali alti lai sono perfettamente innocui: il volgo si è ormai assuefatto a certe intemerate se non sono accompagnate da qualche specialissimo segnale. Il perfido Scalfari, che vuol far male, decide perciò di far venire i capelli ritti in testa al popolo di sinistra dando per scontato il successo duraturo del patto: «Per concludere dirò che stiamo marciando verso un’alleanza stabile e non più limitata alle sole riforme costituzionali, con Berlusconi. Renzi è convinto di questa necessità, Berlusconi è ancora incerto (…) Alla fine l’ex Cavaliere preferirà fare il padre della patria fino al 2018, stipulando un’alleanza solida e piena e negoziando la sua agibilità politica. Quella economica per trattare gli affari delle sue aziende l’ha sempre avuta. Adesso vuole solo essere riconosciuto padre della patria.» E con questa prospettiva terrificante (per i suoi lettori) chiude tranquillissimo, serafico. Papale papale.
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