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Scandalo

Creato il 09 novembre 2010 da Renzomazzetti
Felice Cavallotti.

Felice Cavallotti.

 

Paura? Voi dovreste averla, voi che siete deplorato, voi che non avete pudore, voi che siete perduto come uomo politico e come cittadino. E’ la parola pudore che manca nel vostro vocabolario! A queste affermazioni, urlate dal deputato Prampolini, Francesco Crispi restò livido, inchiodato al suo banco, senza saper replicare. I cinque nominati per esaminare i documenti del plico cominciarono il loro lavoro alle ore 21 per terminarlo alle 12 dell’indomani. Scrisse Cavallotti: Non dimenticherò, campassi cento anni, le impressioni che provai quella notte, davanti alle rivelazioni che mi passavano sotto gli occhi. Dai documenti risultava che nel 1887 Crispi si era fatto prestare 277.000 lire, delle quali aveva restituito solo 33.000 nel 1889 e poi più nulla. Risultò che la moglie di Crispi, Donna Lina, si faceva prestare danaro, che non restituiva, a mezzo di prestanomi (furono trovate 202 lettere sue) e v’era un elenco di cambiali non pagate, appartenenti ad amici di casa Crispi e parenti dello stesso. Oltre ad essere dei profittatori, Francesco Crispi e Donna Lina furono anche degl’imprevidenti e degli scialacquatori; come risulta dall’entità delle somme che essi prendevano in prestito. La pubblicazione avvenne alle 12 e produsse in tutta la Camera una enorme impressione. Nonostante tutto ciò, la sera del giorno stesso, usciva il decreto reale che prorogava la Camera, preceduto da una relazione zeppa di menzogne e in cui la Camera era insultata e dipinta come in balìa di un pugno di settari tumultuanti per libidine di scandalo! Francesco Crispi aveva compreso che la discussione del giorno dopo, sui fatti lampanti e precisi a base di date e di cifre consegnati nei documenti lo avrebbe liquidato e scappò davanti ai giudici, servendosi del decreto di proroga che teneva pronto in bianco per altre eventualità. E come vilmente fosse scappato il Crispi di fronte alle accuse, e come il re fosse stato suo complice nell’impedire a qualsiasi costo che la luce fosse fatta, risulta dal diario di Crispi pubblicato a cura di un congiunto: Accettare una discussione su quel cumulo d’immondizie, avrebbe significato degradazione e sterilità… La cosa sarebbe stata indecorosa anche per l’istituto parlamentare. E Crispi ottenne dal re, prima la proroga, quindi la chiusura della sessione. Il Parlamento tacque per tutta la prima metà del 1895; era deciso lo scioglimento della Camera, ma questo fu decretato soltanto l’8 maggio, perché potesse prima compiersi la revisione straordinaria delle liste elettorali ordinata per legge nella sessione precedente. Così fu chiusa la bocca al Parlamento.

LETTERA AGLI ONESTI D’ITALIA

Il 22 giugno 1895 Felice Cavallotti pubblicò la lettera che fu un violento e preciso e documentato atto di accusa contro Crispi, che concludeva: Debbo deferire alla S.V. Il ministro deputato Francesco Crispi, quale colpevole dei seguenti reati: 1. Falsa testimonianza (art. 214 Codice Penale). 2. Concussione (art. 169, 170 Codice Penale). 3. Corruzione (art. 171 Codice Penale). 4. Millantato credito (art. 204 Codice Penale).

La questione morale denunziava non solo Crispi ma tutta la reazionaria e corrotta borghesia umbertina.

ANDREA COSTA:

Per noi socialisti Francesco Crispi non è in causa solamente come uomo, ma come rappresentante di una classe che sfrutta e domina le classi lavoratrici. Noi facendo il processo all’onorevole Crispi non lo facciamo alla borghesia illuminata, che va incontro ai desideri dei lavoratori e li favorisce, né alla povera onesta magra borghesia di città e di campagna, bensì soltanto alla borghesia sfruttatrice e corrotta.

Il terzo congresso del Partito Socialista, che avrebbe dovuto svolgersi ad Imola, era stato proibito, si svolse clandestinamente a Parma, il 13 gennaio 1895. Nonostante i rigori polizieschi fu certamente un avvenimento molto importante e valse notevolmente a sollevare e stimolare la combattività della classe operaia.

 

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E’ IL LAVORO OGGI L’ AURORA!

Entro il mio cuore

la tortura, ho tutta la tortura

dal mondo patita

geme ch’io in parole la redima,

e io perdutamente balbetto,

il mio cuore ancora in sé sente

le infinite morti

da uomini inferte a uomini,

gli anni trascorrono

e sempre l’insostenibile vergogne

e sempre in me il gemito,

vano gemito anziché parole,

e il terrore che anche il più grande canto

vano pur esso sarebbe,

chi mai l’ascolterebbe

se nuovamente domani sul mondo

la tortura infierisse

infanzia e vecchiaia insieme cancellando

e tutte le speranze?

 

Speranza, aurora!

Chi ancora guarda l’aurora?

Mio cuore, ma tu lo sai

E non è per essa che ancor batti?

Sibilla Aleramo.

Tanti e tanti e tanti,

vicino a te e lontano

ogni dì s’alzano e non armi impugnano,

o forse armi sono,

martelli, vanghe, libri,

e vanno, con questi loro vivi arnesi vanno,

la terra è tutta un cantiere,

ogni dì è lavoro,

quanto lavoro su la terra intera,

da secoli da millenni,

curvo era sino a ieri

ma ora di sé è fiero

s’anche duramente ancor soffre e lotta,

ben saldo nel voler mai più

guerre né torture,

nel volere il mondo

trasformato in fraterno giardino,

oh mio cuore, più non devi gemere,

abbi fede, tu vedi,

è il lavoro oggi l’aurora!

-Sibilla Aleramo-


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