Facciamo un percorso a ritroso? Un po' come nella splendida canzone “Ci Vuole Un Fiore” di Sergio Endrigo... Quando penso ad Al Pacino penso a “Scarface” scritto da Oliver Stone e diretto da Brian De Palma, capolavoro indiscusso e famosissimo del 1983. Quando penso a Scarface penso che significa “sfregiato” e che era il soprannome di Al Capone, gangster italo-americano che impazzò a Chicago (USA) negli anni '20, quelli del Proibizionismo e della Grande Depressione, sterminando tutte le bande rivali, al punto da venir dichiarato nel 1930 "nemico pubblico numero 1" della città di Chicago, rientrando tra i principali ricercati della FBI. A questo punto bisogna chiedersi: ma gli americani, che hanno scritto di tutto e di più sui loro più grandi criminali, possibile che non scrissero nulla su Al Capone? Ecco spuntare il romanzo di un autore che ebbe vita breve, un piccolo genio che a 16 anni abbandonò la scuola per dedicarsi a scrivere e che nel 1929 scrisse appunto il romanzo “Scarface”, parliamo di Armitage Trail (al secolo Maurice Coons). Ebbe vita breve Armitage, morì l'anno dopo, nel 1930 a soli 28 anni, nei quali fece in tempo a produrre quella crime-story leggendaria (che da qualche anno è finalmente disponibile anche in Italia), e a lavorare come sceneggiatore ad Hollywood. Quasi coetaneo di Al Capone, Armitage visse a Chicago negli anni di maggior potere del gangster, quindi poté seguirne da vicino le gesta e il romanzo è in buona parte fedelmente biografico, salvo arricchirne la figura negli aspetti decisamente meno affascinanti, in particolare nel drammatico finale, molto più nobile che morire di ictus dopo anni di prigionia e di demenza causati dalla sifilide, come nella realtà avvenne.
Rimettiamo tutto in ordine e facciamo qualche aggiunta. Nel 1929 Armitage Trail pubblica il romanzo “Scarface” con protagonista il gangster “Tony Guarino”. Howard Hughes, grande produttore hollywoodiano affatto sprovveduto, paga la bellezza di 25.000 dollari per i diritti e lo affida ad Howard Hawks, regista oggi famoso ma ai tempi nemmeno quarantenne. Armitage collabora alla trasposizione, finché vive. All'inizio del film leggiamo: “Soggetto di Ben Hecht tratto da Scarface di Armitage Trail e dai giornali dell'epoca”. Nel 1932 uscirà il film nostro oggetto di discussione, dove il protagonista diventa “Tony Camonte” e dico subito che è un capolavoro senza tempo! Nel 1983 uscirà, altro capolavoro e omonimo, lo “Scarface” di Brian De Palma con protagonista “Tony Montana”, ispirato invece non direttamente al libro ma al film predecessore di 51 anni prima, però qua Al Capone non c'è più... Quello de l'83 lo conoscono tutti, quello del '32 un po' meno ed è un capofila del genere gangsteristico, o se preferite del “crime-movie”, allora eccoci a rendergli giustizia.
Trama in breve:
Tony Camonte, sfregiato in faccia per una questione giovanile di donne, non accetta il destino quasi certo per tutti gli immigrati italiani negli Stati Uniti. Vive con la madre e la sorella, se ne sente responsabile. Vuole scalare i gradini sociali. Non dimentichiamo mai che gli italiani subivano discriminazioni come i negri (così erano chiamati ai tempi gli afroamericani) e la malavita organizzata, favorita dal Proibizionismo che gli dette in mano il grande mercato illecito dell'alcool da gestire, era un'opportunità. Tutti i bar di Chicago sono riforniti di birra da 2 gang che si sono divise il territorio. Quella che comanda la zona sud, che con l'arrivo di Tony ha sbaragliato ogni banda convivente, e quella del nord, temibile e che il capo di Tony, Johnny Lovo, non vuole fronteggiare. Ma Tony non ne vorrà sapere, si ribellerà al suo capo, poi ingaggerà una battaglia feroce e sanguinaria con la gang della zona nord (ci sarà un episodio esplicito, anche per date, modalità e numero delle vittime, ispirato alla nota “Strage di San Valentino”), vuole tutto. Fatale gli sarà la sua smania, che è follia, di voler dominare ogni cosa, in particolare il destino della sorella verso la quale ha modi da padre-padrone.
Film d'azione e spettacolare, a velocità vertiginosa per i tempi e con le pause pregne che oggi sappiamo tipiche del genere noir, in poco più di 90 minuti concentra tutti i componenti e gli stilemi che oggi vediamo immancabilmente, e giustamente, nei film moderni di genere. Primo su tutti il personaggio principale. Tony Camonte è un antieroe, cioè portatore di valori negativi, individuali e per la comunità, malavitoso assassino spietato, eppure trascinato da una follia ribelle verso la società e pure una carica di valori “sani” come la fedeltà alle amicizie, il coraggio, l'intraprendenza, che portano volentieri all'immedesimazione nello spettatore. Come fai alla fine a non amarlo in qualche modo? Al Capone non fu così “nobile”, e Tony Camonte finirà come un eroe ha il dovere di finire, senza arrendersi. A proposito proprio dei Valori, alla novità costituita da questo genere di antieroe rispetto alla storia degli Stati Uniti e anche del cinema, c'è un dialogo emblematico tra un giornalista e il capo della polizia:
Giornalista: ehi capo
Capo polizia: cosa c'é?
Giornalista: questo Camonte...
Capo polizia: e allora?
Giornalista: è un tipo... di quelli che piacciono al pubblico, è un tipo pittoresco.
Capo polizia: pittoresco?!? che cos'ha di pittoresco un pidocchio? ecco dov'è lo sbaglio di molti dei nostri giornalisti, fanno di questa teppaglia una specie di semidei. che cosa diventa Camonte sui giornali? un eroe popolare, un romantico, un campione sportivo! passi ancora quando si trattava dei cattivi del west, che si battevano al sole, mano alla pistola e occhi negli occhi, ma non questi vermi che sparano alle spalle della gente!
Più chiaro di così. Ci viene servita la “morale”. Ci spiega la differenza con l'antieroe dei western, che solo molto più avanti anche in quel genere evolverà (si potrebbero fare molti esempi ma mi piace citare l'italiano “Faccia a faccia”, 1967, di Sergio Sollima). Argomento ancora attualissimo e mai risolto quello del ruolo della stampa e del potere che può avere verso questi personaggi. Altra cosa interessante, proprio nell'incipit sui giornali già si parla di “guerra tra bande”, ma ancora in realtà nulla è partito, è proprio un voler essere sensazionalisti. In un altro momento del film il sindaco di Chicago è in riunione con diverse autorità a vario titolo della città e insisterà sul fatto che uno come Tony Camonte deve essere condannato civilmente tanto quanto perseguito giudiziariamente. Nella riunione interverrà un italiano chiaramente ricco ed influente e dirà proprio quanto quel gangster sia negativo per l'immagine che dà dei suoi connazionali immigrati. Non è un film da scervellarsi, arriva diretto. Certo, l'arricchito di “pittoresco” non ha proprio nulla, in fondo non è altro che uno sicuramente capace ma anche che si è uniformato, normalizzato; nulla ha del cattivissimo, folle e ribelle Tony.
A differenza di Montana che si strozzava a sniffare cocaina, il nostro Camonte, interpretato da un magnifico Paul Muni, fuma solo sigari e nemmeno beve la porcheria che rifornisce ai bar. E' folle dentro. E' megalomane, cerca il lusso “cafone”. Sono lontane le tigri in giardino, qua basta un letto intarsiato, una camicia nuova al giorno, la vestaglia di seta. Indispensabile ad entrambi il riconoscimento sociale che arriva anche da una donna bellissima e di “casta” americana, bionda e impossibile per chiunque non sia ricchissimo. Tutto, anche l'amore, deve rappresentare l'avvenuta scalata sociale. Se poi era la donna di chi ti comandava, allora fai bingo. Poppy (Karen Morley), proprio come una leonessa alla quale il nuovo maschio capobranco ha appena ucciso i cuccioli, non esiterà un istante ad andare con Tony dopo che questi avrà ucciso Johnny Lovo.
Facciamo un elenco di altri pezzi pregiati, ispiratori per tanti successori?
- Il compagno fidato dell'ascesa di Tony è Rinaldo (George Raft), che impudentemente s'innamorerà di Cesca Camonte (Ann Dvorak, attrice bellissima), sorella di Tony. Ha i modi di un Samurai alla Melville, parla poco, l'essenziale, freddo anche ad uccidere, sempre serio e una mania: lanciare in aria una moneta col pollice, sono quei gesti strani e ripetitivi del “falso mansueto” che mettono inquietudine. E' l'archetipo del Duro. Qualche anno più tardi ci avrei visto Humphrey Bogart in un ruolo così.
- Dicevamo prima della spettacolarità del film. Ci sono inseguimenti in auto e sparatorie frenetici, con un grande montaggio e inquadrature anche da soggettive come abitacoli, modernissime. Il film è godibilissimo ancora oggi da questo punto di vista! Alcune trovate poi scuotono. Quando ad esempio arrivano i mitra in città e la battaglia tra le gang si fa più dura, Hawks ci mostra l'incedere per un attimo con un calendario da muro dove i fogli dei giorni vengono strappati da raffiche di mitra che si vede in sovrimpressione. Geniale.
- C'è l'inserimento di un elemento comico che alleggerisce per una attimo la storia e satireggia sulla figura del gangster arricchito. Tony, appena stabilita la nuova lussuosa magione, assegna a un suo fidato analfabeta il ruolo di segretario e le sue risposte maldestre al telefono sono esilaranti. Ne farà una ragione di sfida e resterà a parlare al telefono, senza poter sentire nulla ovviamente, anche nel bel mezzo di una sparatoria, noncurante di quanto avviene.
- La fotografia ha un bianco e nero quasi “naturale”, senza troppe forzature, e spesso inserisce fasci di luce intensa in alcune scene d'interni provenienti da fessure, donando geometrie ed ombre affascinanti.
- E' completamente assente la violenza esplicita, sangue inesistente. Quasi tutti gli omicidi li si sentono, per il rumore degli spari, o li si vedono in ombre attraverso vetri.
Una pubblicità al neon, visibile dalla finestra della camera di Tony Camonte, un panorama che lui amava, compare a più riprese. Dice: “IL MONDO E' VOSTRO”. E lui volle prenderselo.
Robydick(Recensione comparsa sul Numero 0 di Malastrana)